sabato 15 marzo 2008

STRAVINSKIJ OEDIPUS REX

J. UHLENHOPP, M. PENTCHEVA, A. GUERZONI, P. LINDROOS, M. ALVES, E. MARINELLI Orchestra Sinfonica di Roma , direttore Francesco La Vecchia, Coro “Luca Marenzio” diretto da Martino Faggiani Regia: Otello Camponeschi, Scene: Salvatore Liistro, Costumi: Fabrizio Onali
Roma , Auditorium di Via della Conciliazione 3 febbraio 2008
“Oedipus Rex” è un frequentatore abituale dei palcoscenici e delle sale di concerto romani. Si ricorda un’ottima esecuzione all’Accademia di Santa Cecilia alcuni anni fa ed una all’Opera di Roma nel 2005 in un allestimento di lusso (regia di Luigi Squarzina, scene e costumi di Giacomo Manzù, concertazione di Zoltan Plesko). Ne ha presentato un’edizione scenica, utilizzando con intelligenza gli spazi dell’Auditorium di Via della Conciliazone, l’Orchestra Sinfonica di Roma- un’istituzione sostenuta dalla Cassa di Risparmio della capitale; grazie ad una politica di bassi prezzi dei biglietti porta alla grande musica un pubblico (molti i giovani) che avrebbe difficoltà di accesso altrove. Il programma (26 concerti sinfonici e tre opere) coniuga il grande repertorio del Settecento e dell’Ottocento con il Novecento storico ed incursioni nella contemporaneità.
“Oedipus Rex” appartiene al periodo “neo-classico” di Stravinskij: la lingua latina, la struttura a numeri chiusi, la severità stessa del lessico musicale la pongono al centro di questa fase. Nel lontano 1973, Leonard Bernstein ne ha acutamente scavato, però, l’ispirazione verdiana: “il primo numero, l’implorazione dei tebani, rievoca la supplica di “Aida”, l’aria dell’”invidia” è ancora una volta una serie di battute di “Aida” rovesciate””. Stravinskij era un grande ammiratore di Verdi: “Oedipus” è, in questa chiave, la prosecuzione di quella discesa negli anfratti più scuri dell’uomo scavata in “Otello”.
La direzione musicale di Francesco La Vecchia ha un’impostazione verdiana: grande enfasi sul ritmo (a tratti eccessiva nell’accento sugli strumenti a percussione), tempi stringati, accento passionale (nella scena ed aria di Giocasta). Efficaci l’allestimento scenico di Salvatore Liitro e la regia di Otello Camponeschi: siamo in una Tebe stilizzata dove il bianco dei costumi (ed il nero del fondale) hanno echi del visivo degli Anni Trenta.
Il coro è il vero protagonista musicale sotto il profilo vocale. L’ensemble “Luca Marenzio” diretto da Martino Faggiani fa veri e propri miracoli con la impervia (e faticosa) scrittura. Tra i solisti primeggiano i due duetoragonisti: Edipo e Giocasta. John Hulenhoop aveva dato vita al medesimo ruolo al Teatro dell’Opera tre anni fa; è un “tenore eroico” di grande potenza vocale che affronta senza difficoltà un ruolo vocale interamente articolato sul registro di centro (come in molti ruoli wagneriani a cui è abituato). Mariana Pentcheva conferma di essere uno dei migliori mezzo-soprani su piazza; in linea con la lettura “verdiana” della partitura, la sua è una Giocasta anche sensuale, con cenni di coloratura e discese smaglianti vero le tonalità gravi. Di tutti gli altri particolarmente efficace Mario Alves che nel ruolo del Pastore ha il difficile compito di reggere l’ultimo lungo numero dell’opera. Un po’ ligneo il Creonte di Alessandro Guerzoni. Suadente e subdolo il Tiresia di Petri Lindroos. Elegante il Narratore di Eugenio Marinelli.
Molti applausi da parte di un pubblico che riempiva ogni ordine di posti.

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