domenica 30 marzo 2008

TROPPI FONDI PENSIONE NON PORTANO RENDIMENTO. Libero 29 marzo

Nei Paesi dove il sistema previdenziale pubblico non viaggia verso un sistema puro a capitalizzazione (in cui le prestazioni sono finanziate con i rendimenti sul montante accumulato tramite i contributi degli iscritti), la tendenza è di andare verso sistemi a capitalizzazione figurativi, sul tipo dei Ndc (National defined contribution) introdotti, inizialmente, in Italia ed in Svezia, quasi parallelamente, nel 1995. Tali sistemi comportano inevitabilmente una riduzione delle spettanze (e delle prestazioni) dalla previdenza pubblica rispetto agli ultimi redditi in vita lavorativa significatamene maggiori di quelli previsti nei sistemi previdenziali a meccanismi “retributivi”, in cui spettanze e prestazioni sono calcolate sulla media di un certo numero di anni di redditi da lavoro. Quindi, la necessità di una previdenza privata integrativa o complementare per evitare di dover fronteggiare un forte calo dei tenori di vita in età anziana. In saggio di K. M. Kannan nell’ultimo numero della “International Social Security Review” conferma che questa è la tendenza della previdenza sociale in un mondo in via integrazione economica internazionale.

In Italia, la previdenza integrativa fa difficoltà a decollare. Un lavoro, in corso di pubblicazione, di Adam Daniel Dixon dell’Università di Oxford (“La crescita del capitalismo dei fondi pensione in Europa- una rivoluzione invisibile?”) esclude l’Italia dai Paesi europei in cui si sta verificando tale “rivoluzione invisibile”, mentre dimostra su come i fondi pensioni abbiano trasformato anche un capitalismo in parte sclerotizzato come quello francese. Quali le determinanti e quali le possibile cure da attuare nella XVI legislatura?

Le statistiche più aggiornate sono quelle dell’ultima relazione annuale della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (Covip) che fotografa la situazione a fine 2007 ma fornisce anche le prime indicazioni offerte dalla normativa del 2004 sul trasferimento del trattamento di fine rapporto (tfr) ai fondi. Tale trasferimento (ovviamente volontario o semi-volontario) sembrava il toccasana per fare decollare i fondi, il cui impianto di base risale alla “riforma Amato” della previdenza del primo scorcio 1993, ossia ben tre lustri fa.

Alla fine del 2007, gli aderenti a fondi pensione od a piani previdenziali individuali erano 4.5 milioni pari al 20% circa degli occupati e le risorse (uno stock) 57 miliardi di euro pari a meno 5% del pil (in termini di flusso) ma a meno dello 0,3% dello stock di ricchezza degli italiani. Lo dice a tutto tondo un recente rapporto Ocse : l’Italia è l’ultima in classifica in termini di attività dei fondi : non toccano – come si è detto- il 5% del pil rispetto ad oltre il 120% in Svizzera, Olanda, Islanda, ed ad oltre l’80% in Gran Bretagna e Australia I dati italiani includono un milione circa di aderenti a polizze previdenziali-assicurative individuali con un investimento totale attorno a 5 miliardi di euro.

La Covip è ottimista per quanto riguarda il futuro; in passato il suo ottimismo si è rivelato più “aziendale” (a difesa della propria sopravvivenza) che basato su elementi concreti. L’analisi dei rendimenti non è incoraggiante: quelli dei fondi negoziali (ossia previsti nella contrattazione collettiva) hanno toccato una punta del 7,5% netto nel 2005 ma sono scesi dal 5% nel 2003 al 3,8% nel 2006. Non vanno meglio i fondi aperti: dal 5,7% nel 2003 al 2,4% nel 2005. Possiamo consolarci poiché la situazione non è più brillante nella vicina Spagna: l’ultimo rapporto dell’istituzione di controllo dei fondi spagnoli rivela che dal 2001 al 2006 il tasso di rendimento è stato il 2,9% l’anno, inferiore a quello d’inflazione (3,2% l’anno). Sono soprattutto i lavoratori giovani a guardare a questi indicatori con perplessità. Il britannico “Financial Analists Journal” parla addirittura di insolvenze di alcuni fondi del Regno Unito. Di converso, il consuntivo 2006 del fondo pensione dei dipendenti della Banca mondiale espone un tasso di rendimento del 14,1% per l’anno di riferimento e una media del 8,5% per il periodo 1997-2006. Quindi, fondo pensione non vuole sempre a rendimenti risicati. Possono essere elevati se la consistenza è elevata e la professionalità dei gestori molto alta.

Il vero nodo italiano è che i 57 miliardi di euro sono frantumati su circa 600 fondi ed un milione di polizze individuali . I fondi di nuova istituzione (in base alle normative degli ultimi anni) sono 146; gli altri pre-esistenti. I fondi negoziali sono 42, interessano ormai tutti i settori dell’economia ma non raggiungono 1,5 milioni di iscritti, nonostante gli sforzi per incoraggiarli. La polverizzazione del settore ha dato vita ad una miriade di fondi lillipuziani che rischiano di essere fortemente penalizzati alla prima tensione sui mercati finanziari e spazzati via al primo temporale azionario o monetario. In Cile, quando circa 30 anni fa, la previdenza venne articolata prevalentemente su fondi pensione (addirittura sostitutivi del sistema pubblico), il loro numero venne limitato a sei proprio per assicurare che fossero sufficientemente robusti. Quando venne varata la “riforma Amato”, non mancarono suggerimenti in tal senso, ma vinse la teoria dei cento fiori – di consentire ad una pluralità di soggetti interessati di dare vita a fondi pensioni o gestiti direttamente o da affidare in gestione a specialisti. La Covip avrebbe avuto il compito di pilotare il compattamento dei fondi in pochi istituti ma sufficientemente robusti da consentire quella diversificazione del portafoglio che può cercare di massimizzare il rendimento, minimizzando il rischio. L’attuale Cancelliere dello Scacchiere britannico Alastair Darling quando una diecina d’ anni fa visitò l’Italia nelle vesti di Ministro di Stato di Sua Maestà per la riforma della previdenza la definì “utterly useless” (del tutto inutile). Lottizzata in gran misura tra ex-sindacalisti non è stata oggettivamente in grado di frenare la frammentazione. Se ne è accorto anche il centro-sinistra: nella riforma delle Authority presentata in Parlamento oltre un anno fa, se ne prevedeva la soppressione. E’ un punto importante da mantenere. Al tempo stesso si devono recepire i meccanismi della riforma della previdenza in Grecia per consolidare in non più di 7-8 fondi pensione, il centinaio (invece dei 600 nostrani) gracili fondi pensione sorti come funghi nella Repubblica Ellenica. Occorre, poi, modificare le regole sulla governance dei fondi: indicazioni molto utili (sulla base, principalmente dell’esperienza svedese) si possono trarre dal lavoro "Pension Reform, Ownership Structure, and Corporate Governance: Evidence from a Natural Experiment" di Mariassunta Giannetti e Luc Laeven in corso di pubblicazione nel prossimo numero della “Review of Financial Studies”.

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