L’allestimento del mozartiano “Così fan tutte” in scena a Parma sino al 30 marzo e successivamente in vari teatri francesi nasce all’Opéra National de Loyn. Ma di francese ha molto poco . Lo firma Sir Adrian Noble (uno dei numi del teatro britannico, a lungo alla guida della Royal Shakespeare Company); nel 2004 in Italia una sua messa in scena de “Il ritorno di Ulisse in Patria” di Claudio Monteverdi è stata vista in 9 teatri, con successo, al termine di una tournée mondiale durata quasi tre anni. Le aspettative erano alte, anche in quanto questo inverno in Italia si sono visti quattro differenti allestimenti di “Così” in 8 teatri ed il lavoro non si rappresentava a Parma di 40 anni.
L’intreccio è noto. Convinti della fedeltà delle loro fidanzate ferrraresi, due giovanotti napoletani tentano ciascuno di sedurre la donna dell’altro (sperando di fare cilecca a ragione della virtù delle loro donne).Loro malgrado, ciascuno dei due finisce nelle braccia della donna dell’altro. Quando, nel finale, tutti e quattro sono nei letti appropriati, tutti hanno consapevolezza della fragilità del gioco dell’amore e degli inganni. E’ un gioco non soltanto erotico ma riguarda i tradimenti alla Corte Reale tra cordate massoniche in un’atmosfera avverte acutamente Patrice Chéreau, in cui si sente “puzza di morte”: è la fine non solo del Settecento, ma di un’epoca.
Noble trasferisce la vicenda ai giorni nostri in una spiaggia piena di dune con , a distanza, le luci di una città; il solo sport che vi si pratica è orizzontale – accoppiarsi in rossi tramonti ed al lume di notturni falò, in bikini e bandana. Il tema di fondo dell’allestimento è il consiglio dato da Despina (la cameriera factotum) alle due ferraresi: “fate l’amor come assassine!”. Quindi, l’accento è sugli aspetti erotico-sensualipresenta . Assente il contesto di un mondo macero dove le cui lenzuola trasudano sudore amaro.
Sotto gli aspetti strettamente musicali, di buon livello i sei cantanti (Irina Lungu, Serena Gamberoni, Stefanie Iráni, Alex Esposito, Francesco Meli, Andrea Concerti), specialmente il gruppo di voci maschili ed in particolare Francesco Meli, astro nascente dei tenori lirici puri del teatro in musica italiano ed europeo. Dotati del “physque du rôle”, essenziale dati i costumi, sono tutti e sei anche abili attori. Discutibile la direzione musicale di Marco Zambelli, caratterizzata da un piglio duro (come quello, per intenderci, della registrazione scaligera di Riccardo Muti negli Anni 90), ed a volte pesante. Pur se allievo di John Elliot Gardiner, Zambelli non è specializzato nel repertorio mozartiano ma salta con disinvoltura dal melodramma al verismo, da Gluck al repertorio tedesco. Un “routinier”, nel significato migliore dell’aggettivo. A sua giustificazione, è arrivato a Parma all’antivigilia della prima per sostituire un collega che ha rinunciato all’incarico e che aveva re-integrato molti tagli “di tradizione”, dando allo spettacolo una durata di circa 4 ore. Altra attenuante: l’orchestra del Regio, diventata molto più versatile negli ultimi anni, è di impianto verdiano e veristico non mozartiano. Pur se sfoltita, evidenziava in buca un organico che era forse il doppio di quello in uso alla fine del Settecento. Con difficoltà nel governo degli impasti tra strumenti e voci.
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