martedì 25 marzo 2008

UNA “ RETE DI SICUREZZA” LA TENTAZIONE INTERVENTISTA DEI BANCHIERI CENTRALI’ DA LIBERO DEL 25 MARZO

Nei fine settimana delle feste comandate, come la Pasqua, chi non ha scoop se li inventa. I lettori sono presi da incontri in famiglia e cerimonie religiose e non guardano i giornali che di sfuggita. In materia d’economia e finanza, però, i falsi scoop fanno più danno che altro: hanno effetti distorsivi sul mercato. Il nostro “confrère” britannico The Financial Times è uscito con un titolo a tutta prima pagina per annunciare che le principali banche centrali – Federal Reserve (Fed), Bank of England (Boe) e Banca Centrale Europea (Bce)- starebbero per mettere in piedi una “rete di sicurezza” per contenere e se possibile azzerare i danni del proseguire della crisi dei mutui non solvibili (il gergo il subprime) e degli strumenti di finanza strutturata costruiti incorporandoli. Un comunicato della Boe ha prontamente sminuito, prima della riapertura dei mercati, la portata di un eventuale accordo ad uno “studio delle varie maniere per allentare le pressioni”.
Cerchiamo di spiegare come stanno le cose. L’idea non è nuova: è stata proposta, separatamente, qualche settimana fa da due economisti di rango, l’anziano Paul Samuelson (sui cui testi hanno studiato generazioni di giovani di tutto il mondo – chi scrive lo utilizzò addirittura nel 1962 ed era alla quarta edizione) ed il più giovane Paul Krugman. Neo-keynesiano convinto il primo, eretico a tutto campo il secondo. Samuelson in particolare ha proposto qualcosa di simile alla Reconstruction Finance Corporation degli Anni 30; il raggio d’azione del nuovo istituto sarebbe stato limitato agli Usa – perché è dove è nato il problema e dove né la soluzione. Sul suo blog, Krugman si è lanciato sull’idea proponendone l’internazionalizzazione. In breve, lo strumento toglierebbe dal mercato primario titoli spazzatura strutturati e li rimetterebbe in commercio sul secondario (o terziario) pur sapendo che in alcuni casi ci rimetterebbe. Attenzione: l’idea Samuelson-Krugman si basa su uno strumento privato (anche se sussidiato in qualche modo – tax expenditures, contributi diretti – da Pantalone). L’ex-Segretario al Tesoro Usa, Robert Rubin, ora tornato a Wall Street, è balzato sull’idea (ben lungi da essere un progetto), sottolineato, però, che senza una forte dose di intervento pubblico non avrebbe funzionato. Nella sua veste attuale di money manager, cosa meglio che “socializzare le perdite”? E come “socializzarle” in modo più efficace che tramite le banche centrali?
In effetti, del tema si è parlato all’ultima delle riunioni mensili dei Governatori delle banche centrali del G10 a Basilea, nell’ambito della Banca dei regolamenti internazionali (Bri). Queste conversazioni hanno toccato anche la possibilità di un gruppo di studio ancora “possibile”, anzi “eventuale” – dicono a Basilea- poiché ancora non se ne ha una bozza di mandato, un’idea di chi sarebbero i componenti e, aspetto delicatissimo, di chi lo presiederebbe e soprattutto di come si coordinerebbe con il già esistente International Financial Stability Forum. La Boe ha detto, al tavolo Bri, di non essere affatto d’accordo con il principio stesso dell’approccio Samuelson-Krugman-Rubin.
La dietrologia è un peccato, specialmente nei giorni di Pasqua. Ma può indicare che lo “scoop” del Financial Times sia stato una mossa della mefistofelica Old Lady (il nomignolo di gergo della Boe) per affossare il progetto prima ancora che se ne faccia uno studio pure soltanto preliminare.
Quali le contro-indicazioni nei confronti dell’idea Samuelson-Krugman-Rubin? Non solamente “socializzare le perdite”, specialmente a favore di chi si è comportato spericolatamente, è un invito a continuare a razzolare male – in economia si parla di “azzardo morale”- ma ci sono altri argomenti. L’iniezione di capitale necessaria sarebbe enorme: uno studio interno di Unicredit parla di mille miliardi di dollari; analisi della Abm Amro arrivano stime analoghe. Riservatissime quelle della Fed: è comunque un fatto che l’aumento delle facilitazioni creditizie pubbliche concesse a Fannie Mae e Freddie Mac (i nomignoli delle due maggiori istituzione americane per rifinanziamento e riassicurazione per il credito immobiliare) si è già rivelato inadeguato. A queste considerazioni micro-economiche, se ne aggiunge una macro-economica di rilievo: la solleva James Saft, columnist di Reuters on line, il quale solleva che dalla eventuale rete di sicurezza risulterebbe un aumento della liquidità (che non ridurre il “credit crunch” alla cui base c’è mancanza di fiducia tra istituti) ma accentuerebbe la spinta inflazionistica già derivante (negli Usa) dal deprezzamento del dollaro e (nel resto del mondo) dall’incremento dei prezzi delle materie prime.

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