E’approdato a Parma il 20 marzo (si replica sino al 30) l’allestimento della mozartiana “Così fan tutte” che prodotto dall’Opéra National de Lyon ha riscosso grande successo in Francia. Lo firma Sir Adrian Noble, nominato baronetto della Corona britannica per il plauso di pubblico e critica nei venti anni circa in cui ha guidato la Royal Shakespeare Company. Spettacolo, quindi, più britannico che francese. Anzi a Parma di Oltralpe c’è rimasto ben poco visto che la direzione musicale è stata affidata ad un italiano e quasi tutte lo voci sono nostrane.
Prima domanda. Dal novembre scorso questo il quinto allestimento di “Così fan tutte” nei teatri italiani di una certa importanza. Quattro sono stati concentrati in teatri del Nord e Nord Est: uno di questi è stato in tournée per tutta la Lombardia. Era davvero necessario proporne un sesto (un quinto nelle sole regioni settentrionali) soprattutto dopo che nel 2005- anno di ricorrenze mozartiano – il lavoro si è visto ed ascoltato in una ventina di teatri della Penisola? Non sarebbe stato utile un coordinamento tra istituzioni che, ben inteso, sono autonome ma attingono tutte, per sopravvivere, alla mammella del Fus (Fondo unico per lo spettacolo)?
Seconda domanda. “Così” è il lavoro più difficile da eseguite tra quelli ideati dal duo Da Ponte-Mozart, probabilmente, con “La clemenza di Tito”, l’opera più ardua a mettere in scena di tutto il repertorio mozartiano. Per questa ragione non perché considerata “indecente” sino quasi all’inizio della seconda guerra mondiale, le sue esecuzioni sono state abbastanza rare sino all’esplosione in questi ultimi anni motivate in gran misura dal fatto che richiede unicamente sei cantanti, due brevi interventi del coro, un piccolo organico orchestrale; inoltre si presta ad allestimenti scenici sia leziosi (quasi goldoniani) sia attualizzati anche in modo abbastanza esplicito (l’intreccio riguarda letti, lenzuola e tradimenti). Non sarebbe stato opportuno concentrare le risorse per fornire qualcosa di veramente esemplare come, nei lontani Anni 70, la mitica edizione di Karl Boehm che da Vienna è arrivata negli Usa o, per un periodo più vicino a noi, quella di Patrice Chéreau e Daniel Harding che ha debuttato a Aix nel 2005 ed ha trionfato, tra l’altro, a Vienna, a Parigi ed in un’altra mezza dozzina di città (ma non si è vista in Italia) ?
Terza domanda. L’allestimento di Noble (per altro castigato rispetto a ciò che si vede nei teatri tedeschi, britannici ed ora anche svizzeri) attualizza la vicenda ai giorni nostri e la situa in un’improbabile ultima spiaggia di dune ma ne coglie un unico aspetto: quello sensuale. Il lavoro, invece, è molto più profondo: Jürgen Flimm a Zurigo e Patrice Chéreau nella produzione che ha girato per mezzo mondo scava in una dimensione più importante e più inquietante: gli intrighi ed i tradimenti della fine di un’epoca in un’atmosfera macera dove si sente puzza di morte. Il pubblico del Regio ha pensato che fosse un’operetta non un lavoro dirompente come Les Liasons Dangeures di Choderlos De Laclos. In breve, Sir Adrian Noble ha forse intrapreso il percorso più facile.
Quarta domanda. Al bravo giovane cast (Irina Lungu, Serena Gamberoni, Stefanie Iráni, Alex Esposito, Francesco Meli, Andrea Concetti), ha corrisposto un’orchestra molto poco mozartiana (e per organico e per suoni). Dato che il direttore designato Attilio Cremonesi, è stato chiamato di corsa Marco Zambelli (che si destreggia in tutti i repertori – dal melodramma, al verismo, a Gluck) a fare supplenza.
Beh, “Così fan tutti!!!
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