Tutte le affinità tra Mafia capitale e scandalo Enron
13
- 06 - 2015Giuseppe Pennisi
I cronisti lavorano e vivono per
l’immediato. Quindi, hanno la memoria corta. Chi si ricorda dello ‘scandalo
Enron’ scoppiato nel dicembre 2001? Fu la più grave bancarotta
fraudolenta Usa, sino ad allora, per ben 63,4 miliardi di dollari (superata
successivamente da quelle di Worldcom nel 2002 e di Aig nel 2008).
Lo scandalo mise alla luce non solo il
malaffare ma anche problematiche connesse con l’introduzione della new
economy basata su tecnologia dell’informazione e della comunicazione e
su ‘capitale immateriale’. E complicità dei ‘controllori’.
Vennero comminate pene esemplari: il
presidente Kenneth Lay fu condannato a 45 anni di carcere e 90 milioni di multa
(morì in prigione il 5 luglio 2006); l’amministratore delegato Jeffrey Skilling
ebbe una condanna a 24 anni e 4 mesi. Pagarono anche i revisori dei conti: la
società Arthur Andersen fu dissolta.
Il Congresso approvò nel luglio 2002 la
legge Sarbanes-Oxley con la quale fu riscritto parte del diritto commerciale
americano. La legge impone una maggiore trasparenza nei bilanci e una
responsabilità personale più stringente degli amministratori. Le società di
certificazione non possono più fornire altri servizi a pagamento in parallelo
con la revisione dei conti. Allora gli economisti stimarono, con un’attenta
strumentazione econometrica, che il danno reputazione al settore dell’alta
tecnologia (nell’epoca) era pari a 18 volte il danno finanziario agli
azionisti.
C’è più di un parallelo tra la vicenda di
Enron (e quelle, ad essa simili, di Worldcom e Aig) con la saga, ancora in
corso, di Mafia Capitale. Si tratta di grandi truffe perpetrate ai danni di
azionisti e di cittadini con vaste complicità di chi aveva il compito precipuo
di controllare (collegio sindacale, revisori dei conti, dirigenti e funzionari
pubblici, politici di vari partititi e dei più variegati colori).
L’affinità principale è nel danno
reputazionale pari ad un multiplo di quello finanziario. Il danno è tanto più
grave in quanto colpisce in un momento in cui il Giubileo straordinario indetto
da Papa Francesco pone Roma al centro dell’attenzione mondiale. Inoltre, parte
della maxi-truffa riguarderebbe l’alloggio ed il cibo dei migranti, tema che
l’Italia ha posto al centro dell’attenzione dell’Unione Europea (UE), chiedendo
aiuto; ciò fa inevitabilmente cassa di risonanza in Europa. Non facciamoci
illusioni: per fortuna, non tutto il marciume resocontato (come doveroso) sulla
stampa italiana, ed in particolare su quella di Roma capitale, viene ripreso
dai maggiori giornali stranieri, con il fiume in piena di nuovi dettagli
disponibili quasi ogni giorno.
Dalle corrispondenze naturalmente
sintetiche si evincono questi elementi: a) da decenni la capitale
d’Italia è governata da sindaci che non si accorgono (o fanno finta di non
accorgersi) di una vastissima rete di malaffare nei settori più sensibili; b)
il coperchio non è stato scoperchiato dal sindaco in carica ma dalla
magistratura; c) un movimento trasversale chiede le dimissioni del sindaco e
nuove elezioni, ma il principale partito di Governo (PD) non le concede perché
teme il voto popolare ed il suo alleato è alla prese con problemi giudiziari;
d) la Santa Sede, interessata al buon andamento del Giubileo, avrebbe fatto
chiaramente intendere che almeno l’Anno Santo venga ‘scorporato’ dalle
competenze e dalla gestione dell’attuale amministrazione capitolina.
Naturalmente, l’immagine dell’Italia esce
gravemente ferita. Il Presidente del Consiglio, che intendeva chiedere
‘flessibilità all’UE nell’attuazione dei parametri del Trattato di Maastricht e
del Fiscal Compact, ha poche frecce nel suo arco. Il danno reputazionale è
ormai fatto. Ne avrebbe, però, qualcuna di più se, come avviene in tutto il
molto ad alto reddito, il sindaco di Roma facesse un passo indietro e si
tornasse al popolo elettore per scegliere a chi affidare il governo della
Capitale.
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