Perché rischiamo tutti per la crisi greca (ma non come
nel 2011)
17
- 06 - 2015Giuseppe Pennisi
Al termine delle lunghe notti di
Bruxelles, non sorge sempre il sole. Sull’Eurogruppo in calendario il 18
giugno, pure se siamo prossimi al solstizio d’estate, se al Blois de la Cambre
si vedrà un alba che promette una giornata calda e piena di sole, il presagio
sarà di breve durata.
Ci si riferisce, naturalmente, alla
pietanza centrale della riunione dell’Eurgruppo: un eventuale accordo tra le
“istituzioni”, i creditori e la Grecia, ove venga raggiunto – si parla di
negoziati paralleli e sotterranea tra il Presidente del Consiglio greco Alexis
Tsipras ed il Cancelliere tedesco Angela Merkel – sarebbe di breve, brevissima
durata. A questo punto, la “teoria dei giochi multipli” a più livelli (che
abbiamo utilizzato per analizzare il quadro analitico e termini della
trattativa dall’inizio di questa terza “crisi greca”) non funziona più. Manca,
infatti, la premessa per negoziare: la fiducia e la stima reciproca, almeno
minima, essenziale per scoprire le carte e giungere a un’intesa duratura. Con
un ministro greco che accusa apertamente il Fondo monetario di essere una
“banda criminale”, è arduo poter parlare della fiducia e della stima minima per
potere non dico fare accordi ma lavorare insieme.
Ci sono poi almeno altri due punti
tecnici. Gli Stati creditori sarebbero disposti ad aumentare i loro crediti non
esigibili alla Grecia – solo per l’Italia la bolletta raggiungerebbe i 60
milioni di euro - quanto basta per rinnovare i contratti del pubblico
impiego e rimborsare i pensionati della perequazione loro dovuta secondo la
stessa Corte Costituzionale? Ho forti dubbi che governi alle prese con
movimenti populistici anti-europei siano pronti a fare concessioni ad Atene
nella consapevolezza che ciò potrebbe aumentare le probabilità di sconfitta
alla prossima elezione?
Ove si applicasse alla Grecia una
riduzione del debito (e un aumento dei flussi finanziari) nei modi in cui lo si
fatto per i Paesi più poveri e più indebitati, sarebbero Tsipras e compagni
disposti a seguire il resto del modello: una missione permanente ad Atene delle
“istituzioni” per i prossimi dieci anni con il compito di monitorare la
formazione e l’attuazione della politica economica? Data l’alterigia mostrata
nelle settimane scorse, nutro forti dubbi in proposito.
Se la Grecia è insolvente e giunge anche
ad uscire dalla stessa unione monetaria, ci sarà una “tempesta perfetta” quale
quella dell’autunno 2011 che si accanì contro Italia, Grecia e Spagna, fornendo
anche l’occasione di cambiamenti politici?
Un economista dell’esperienza di Francesco
Forte afferma che l’ ‘Italia rischia un terremoto’ principalmente
a causa della velleitaria politica del governo in carica. Senza dubbio, il
governo pare barcamenarsi ed ha un’immagine internazionale deteriorata da
“Mafia Capitale” ed altro. Tuttavia nel 2011, la speculazione in Europa si
accanì principalmente nei confronti di buoni del Tesoro di governi che avevano
acquistato, negli anni precedenti, forti carichi di derivati, ed era facilitata
da due altre componenti quali la ripresa del mercato azionario russo (che
attirava capitali alla grande) e l’operazione di ripulitura di “obbligazioni
spazzatura” (in quello americano). Da allora, poi, la Banca centrale europea
(Bce) si è dotata di nuovi strumenti di intervento – quali il QE (Quantitative
Easing) e gli OMT (Outright Monetary Transactions) – che le consentono
d’acquistare alla grande titoli di Stato italiani, ad esempio, ove la
speculazione (come minaccia un Ministro greco) si accanisse nei confronti nel
nostro mercato. Inoltre, la European Banking Union (EBU) anche se in
costruzione è una buona paratia.
Ci sarebbero, però, effetti negativi
sull’economia reale: si spegnerebbero (speriamo solo temporaneamente) i barlumi
di ripresa dell’economia europa.
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