sabato 27 giugno 2015

Grecia, chi paga il prezzo del default?in Formiche 27 giugno



Grecia, chi paga il prezzo del default?

27 - 06 - 2015Giuseppe Pennisi Grecia, chi paga il prezzo del default?
Secondo l’agenzia Reuters, i creditori della Grecia hanno messo a punto una proposta che verrà discussa all’Eurogruppo del 27 giugno; a mio avviso Atene la deve considerare generosa. In cambio di un accordo sui punti fissati dalle istituzioni (Bce, Fmi e Ce), verrebbe garantita un’estensione del programma di aiuti fino a novembre con un esborso complessivo nei confronti della Grecia. Ciò eviterebbe il default e darebbe un po’ di respiro alla Repubblica ellenica. Secondo la maggiore agenzia di stampa di Atene sarebbe stata già bocciata dal governo greco poiché comunque Syriza dovrebbe mettere in atto misure (specialmente su pensioni, Iva e privatizzazioni) differenti da quelle promesse durante la campagna elettorale.
Sempre secondo la Reuters i fondi arriverebbero per 3,3 miliardi dai profitti ottenuti dalla banche centrali europee sugli acquisti di bond greci con il programma Smp, 8,7 dall’ex “fondo salva Stati” Efsf, con parte delle risorse (6,9 miliardi) dal fondo di ricapitalizzazione delle banche greche Hfsf, e 3,5 miliardi del fondo monetario, ma solo a conclusione del programma. I creditori hanno offerto l’esborso immediato di 1,8 miliardi di euro, non appena il parlamento greco avrà approvato le misure richieste. La novità, consisterebbe in una sorta di tempo supplementare fino a novembre, peraltro già messo in conto, visto che anche in caso di accordo sarebbe stato impossibile erogare tutte le risorse (7,2 miliardi) entro il 30 giugno.
Tsipras avrebbe spento le speranze, respingendo l’offerta avanzata e spiegando che il “ricatto e gli ultimatum” non rientrano tra i principi dell’Unione Europea. “I principi fondanti dell’Unione – ha detto il premier greco – sono democrazia, eguaglianza, solidarietà e mutuo rispetto. Non si basano invece sul ricatto e gli ultimatum”. “Nessuno – ha aggiunto- ha il diritto di mettere a repentaglio questi principi”.
L’agenzia di rating Fitch ha comunicato.”Il nostro rating ‘CCC’ – ha scritto in una nota – sta a testimoniare che il default è una possibilità concreta” così come “è realmente possibile il fallimento del sistema bancario ellenico“.
Chi pagherà il prezzo del default? L’Unione Europea non è una federazione o confederazione con un forte bilancio centrale ed ampia mobilità da uno Stato all’altro. Negli Stati Uniti, Stati, Contee e Comuni sono stati insolventi, ed in certi casi hanno anche dichiarato fallimento, ma gli USA sono fortemente integrati, i cittadini parlano la stessa lingua e condividono gli stessi valori.
L’Argentina che, dalla sua indipendenza nel 1816, ben sette volte ha dichiarato il default è il caso più simile a quello della Grecia. Un lavoro di Daniel Gros direttore del Center for European Policy Studies in uno studio recente – A Tale of Two Defaults, Un racconto di due insolvenza – compara in dettaglio la situazione della Grecia di oggi con quella dell’Argentina nel 2011, quando il Fmi bloccò nuovi crediti al Paese (e le altre istituzioni finanziarie internazionali e le banche private seguirono immediatamente il Fondo) poiché la Repubblica sudamericana non raggiungeva gli obiettivi concordati in tema di finanza pubblica. Ne seguì una vera e propria catastrofe: svalutazione massiccia, moti popolari, fallimenti di banche e di imprese. L’Argentina fu in grado di rimettersi in cammino sia perché dotata di enormi risorse naturali , di una popolazione altamente qualificata di 41 milioni e di un Pil di oltre 600 miliardi di dollari nel 20013; tuttavia, fruì anche di un importante vantaggio ’congiunturale’, il boom di Cina e Brasile e la forte domanda di materie prime da lei prodotte. Fu in grado di rimborsare il Fmi nel 2005 e di tornare ad ottenere prestiti sui mercati internazionali.
Con una popolazione di 11 milioni, un Pil di 240 miliardi di dollari (2013), un potenziale produttivo molto ridotto (poca industria manifatturiera, agricoltura di scarso pregio, il settore potenzialmente più promettente – la pesca- fortemente regolamentato a livello europeo ed internazionale), la Grecia è in condizioni nettamente peggiori e la conseguenze su popolazione e quel che resta dell’apparato produttivo sarebbero molto più pesanti.
Naturalmente gli Stati che hanno fatto credito alla Grecia soffrirebbero per il mancato rimborso: per l’Italia si tratta di un ‘buco’ di 46 miliardi di euro anche se spalmato su diversi anni.
Ci sono, però, altri Paesi molto preoccupati di un default greco. Si tratta dei ‘neocomunitari’ molti dei quali non fanno parte dell’eurozona. Ad esempio, il maggior quotidiano bulgaro ha intitolato Follia Greca, l’editoriale di tre giorni fa: temono non solo per i propri risparmi presso banche bulgare di proprietà in parte greca, ma dello spappolamento del club in cui, con tanti sacrifici, sono entrati. In Romania si hanno preoccupazioni analoghe. Nel discorso di apertura di un convegno internazionale a Bratislava, la settimana scorsa il Vice Primo Ministro della Slovacchia Miroslav Lajcak ha sottolineato che la Grecia ‘è una piccolissima realtà nell’ambito dell’UE, ma in grado di scatenare ondate di shock in tutto il Continente’.
E su questi timori e tremori che fanno leva Tsipras e Varoufakis per cercare di fare leva per ottenere qualcosa in più (ad esempio un taglio del debito). Ma cosa?
Un vecchio ma saggio proverbio francese dice che la donna più bella del mondo non può dare ciò che non ha.

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