Torna “La dama di picche” al Teatro dell’Opera di Roma
18 - 06 - 2015Giuseppe Pennisi 

“La dama di picche” di Petr I’llic Thcajkovskij
torna dopo sessanta anni al Teatro dell’Opera di Roma. Per circa una decina di
anni è stata vista ed ascoltata al San Carlo di Napoli ed all’Arcinboldi,
sede provvisoria della Scala, in produzioni importate da Londra. Alcuna
anni prima, a Ravenna, aveva trionfato un allestimento della Helikon Opera di
Mosca e quasi nello stesso periodo girò per l’Emilia-Romagna una produzione
stilizzata, in costumi moderni e molto efficace, co-prodotta dall’Opera
Nazionale del Galles, dal Teatro Comunale di Bologna e dal Teatro dell’Opera di
Oslo. Un vero capolavoro che ha raggiunto anche l’Australia e la Nuova Zelanda.
“La dama di picche” potrà essere ascoltata a Roma in versione di concerto (di
gran lusso) all’Auditorium di Via della Conciliazione, portata dal
Mariinskji di San Pietroburgo che negli anni caotici della caduta del
comunismo si finanziava con tournée all’estero.
Dato che una versione scenica manca da tanti anni può essere utile
una breve presentazione. L’opera, su un libretto di suo fratello Modest, è
tratta da un racconto di Puskin
a cui peraltro aveva già attinto Jacques
Halévy,
PrevNext
Ricordiamo brevemente la vicenda: Hermann, ufficiale di bello
aspetto ma con le tasche vuote e la passione per il gioco, è più interessato ai
soldi che alle donne – condizione che per certi aspetti lo accomuna a Thcajkovskij
(essere “gay” nella Russia degli zar ciò comportava la pena di morte) sposatosi
per nascondere le proprie tendenze, sempre indebitato e, all’epoca delle
composizione de “La dama di picche” probabilmente innamorato perdutamente di un
nipote per il quale avrebbe lasciato il proprio valletto-compagno di vita
abituale. Il giovanotto utilizza, però, la propria avvenenza per sedurre una
fanciulla dell’aristocrazia, Liza,
e portarla via al fidanzato all’unico scopo di potere avere le chiavi della
casa dove la ragazza vive con le vecchia nonna. Quest’ultima è stata anche essa
una grande giocatrice; ha la fama di essere titolare di una combinazione
segreta per vincere al tavolo verde. L’anziana contessa, terrorizzata dal
giovane, ha un infarto. Liza
comprende di essere stata strumentalizzata e si getta nella Neva. Nella bisca,
il fantasma della contessa appare ad Herman
per dargli, però, la combinazione errata e portarlo al suicidio. La novella di Puskin – se
vogliamo – è ancora più cruda con Hermann
– particolare sconvolgente nel 1834, data di pubblicazione – che giunge a
prostituirsi per le “tre carte”.
Ultimo lavoro per il teatro in musica del compositore russo più
aperto all’Occidente – la partitura de “La dama di picche” venne composta, in
gran misura, a Firenze – è una opera che, sotto il profilo tecnico, si situa
chiaramente tra due secoli: a musiche ispirate a Bizet e a Massenet se ne
alternano altre caratterizzate da una scrittura frammentata che anticipa
l’espressionismo. Nella vita artistica di Thcajkovskij, “La dama di picche”
giunge a 13 anni da un altro capolavoro del maestro russo tratto da Puskin, Eugenio Oneghin.
Mentre Oneghin
è la riflessione amara di un 27enne sulle occasioni perdute, sulla felicità non
colta anche se a portata di mano, “La dama di picche” è la tragica meditazione
sui rapporti tra uomo e destino (qui riassunto nelle “tre carte” che in “tre
atti” portano alla dissoluzione spietata dei “tre protagonisti”) in un mondo
apparentemente all’apice della potenza politica ed intellettuale (la Russia di
Caterina la Grande) ma già in progressivo disfacimento. Al languore
melanconico, e sensuale, di Oneghin” si contrappone il “cupio dissolvi” di un
individuo e di un’epoca. Tre anni più tardi, Thcajkovskij sarebbe morto in
circostanze misteriose, sempre più avvalorata l’ipotesi secondo cui sarebbe
stato costretto al suicidio a ragione delle sue tendenze sessuali. Meno di
venti anni dopo crollava la Russia sui fronti militari e per il germe del
comunismo.
“La dama di picche” fu composta in soli 44 giorni, nel corso di un
soggiorno a Firenze: l’idea suggerita dal sovrintendente dei teatri imperiali Ivan Vsevoložskij
di trarre un’opera dal racconto di Puskin
aveva suscitato nel musicista un autentico furore creativo. Thcajkovskij
intervenne consistentemente anche nella stesura del libretto, opera del
fratello Modest,
nel quale l’originale di Puskin è
profondamente modificato.
L’opera, andata trionfalmente in scena al Mariinskij di San
Pietroburgo nel 1890, riflette il mondo espressivo delle ultime sinfonie del
maestro, al quale si aggiunge l’influsso del grand-opéra francese, come
evidenzia lo spostamento della vicenda del racconto di Puskin all’epoca
di Caterina la
Grande e il conseguente sviluppo di spunti fastosamente
spettacolari. La concezione per numeri musicali autonomi favorisce l’inclusione
di numerosi quadri di genere, come il famoso coro di bambini – quasi una
citazione da Carmen
di Bizet – e la cantata del II atto, concepita nel gusto per il
pastiche settecentesco proprio anche degli autori italiani a cavallo tra
Ottocento e Novecento. Sul podio dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
il Maestro James
Conlon. La regia porta la firma di Richard Jones,
che debutta al Teatro dell’Opera di Roma, uno dei nomi più apprezzati nel
teatro contemporaneo: si è aggiudicato numerosi riconoscimenti e premi in tutta
Europa, tra cui otto Laurence Opera Awards – sei per le regie liriche e due per
la prosa – ed un Opera Award. Il Guardian
scrive di lui: “Con
le sue produzioni senza compromessi di opere liriche ha ottenuto fama
internazionale e le critiche dei tradizionalisti”. Richard Jones
inserisce La dama di picche in un contesto di fine Ottocento, spostando
l’azione un secolo avanti rispetto al libretto, creando un’atmosfera visionaria
e suggestiva in cui John
Macfarlane disegna abilmente scena e costumi, lavorando con
soluzioni fresche, ma allo stesso tempo immergendo l’opera in un clima di
inquietudine e suspense.
Nel cast Maksim
Aksenov (German), Tómas
Tómasson (Conte Tomskij e Montedoro), Vitalij Bilyy
(Principe Eleckij), Vadim
Zaplechny (Cekalinskij), Mikhail
Korobeinikov (Surin),
Vladimir Reutov (Caplickij e cerimoniere), Gabriele Ribis
(Narumov), Elena
Zaremba (Contessa),
Oksana Dyka (Liza), Elena
Maximova (Polina e Bellosguardo), Anna Viktorova
(Governante), Magdalena
Krysztoforska (Maša), Yuliya
Poleshchuk (Prilepa). Maestro del Coro Roberto Gabbiani.
Parteciperà alla messa in scena il Coro di Voci Bianche del Teatro
dell’Opera di Roma diretta dal Maestro
José Maria Sciutto. L’allestimento è nato dalla coproduzione
tra Welsh National Opera, Den Norske Opera, Teatro Comunale di Bologna e
Canadian Opera Company.
Nessun commento:
Posta un commento