QUANTO
DURERA’ L’IRREVERSIBILE EURO?
Giuseppe Pennisi
E’ un
interrogativo che tutti si pongono ma che, almeno sino ad ora, pochissimi osano
pronunciare. Tanto che sono rimasto sorpreso quando , in un editoriale
domenicale de Il Solo-24 Ore , lo ha
posto Guido Rossi, europeista come pochi. Notato lo ‘spappolamento dell’unione
monetaria’, Rossi invocava il coraggio di
salvare l’Europa.
Facciamo un passo indietro; al momento
del negoziato del Trattato di Maastricht, economisti di rango come Martin
Feldstein e Alberto Alesina avvertirono non solo che l’unione monetaria sarebbe
durata poco ma che il Trattato medesimo conteneva i germi della sua
autodistruzione.
In Europa, tra coloro che lo dicevano a gran
voce c’era Wilhem H. Hankel della Università di Francoforte e per un periodo
mio collega al Centro bolognese della School for Advanced International Studies
della Johns Hopkins University. Hankel è diventato noto ai più in quanto
promotore dei ricorsi alla Corte Costituzionale Tedesca contro il Trattato di
Maastricht ed il Fiscal Compact. Sotto
il profilo accademico la sua opera più importante è Caesar’s Money , un’analisi dettagliata della storia e del
funzionamento del sistema monetario dell’Impero Romano. Tutto sommato sino
all’età augustea quando venne creato (nel 29 dopo Cristo= un sistema monetario
unificato, esistevano varie unità di transazione, di riserva e di valore . Data
l’esiguità degli scambi commerciali tra le varie aree dell’Impero (in molte delle
quali continuavano a esistere i Re che regnavano prima dell’annessione- si
pensi ad Erode), il valore delle derrate era l’elemento fondante di quelli che
oggi sono i tassi di cambio tra le varie monete. Con l’unione monetaria del 29,
l’ asse di bronzo, con il denarius d’argento , con il suo
sottomultiplo il sextertius divennero
le ‘monete uniche’ di un sistema valido in tutto l’Impero e coronato dall’aureus d’oro. Nonostante il sistema
potesse contare sull’unità politica garantita dagli eserciti romani, già Nerone
(verso il 60 dopo Cristo) cominciò a riformarlo ridando spazio alle valute
locali ed apprezzandole rispetto a quelle ‘imperiali’. Con Commodoro (180-193)
venne di fatto abbandonato. Diocleziano (284-305) tentò di ripristinare una
moneta unica imperiale. Tentativo di breve durata dato che, nel contempo, il
centro economico )e politico) dell’Impero si stava spostando verso Oriente.
La storia – lo sappiamo- non si ripete.
E’, però, giudizioso tenerne conto. Specialmente in una fase in cui i movimenti
politici contrari alla moneta unica europea stanno crescendo . Lo stesso
normalmente cauto The Economist avverte
che non si tratta di una tendenza di breve periodo ma di un fenomeno destinata
a rafforzarsi e ad espandersi.
Di recente due
docenti di finanza aziendale, Eugenio Pavarani dsell’Università di Parma (è stato, tra l’altro, consigliere
d’amministrazione di Banca Intesa) e Alberto Lanzavecchia dell’Università di
Padova, hanno scritto un bel saggio (peraltro ancora inedito) in cui si mette
apertamente in dubbio la compatibilità dell’unione monetaria europea (quale si
è tentato di costruirla) con i principi di base della democrazia (quale
affermatesi in Europa). Pavarani e Lanzavecchia non sono movimentisti
barricadieri e non fanno politica attiva. Sono studiosi con esperienza
operativa sui mercati finanziari. I loro dubbi e le loro perplessità vanno
ascoltati con attenzione.
La caducità
relativa della stessa ‘moneta unica dei Cesari’, la vera e propria ondata che
accusa (a torto o ragione) di tutti i mali di cui soffre l’eurozona (ammalato
critico dell’economia mondiale), i dubbi sulla coerenza dell’euro con i
principi democratici, dovrebbero indurre ad una riflessione molto seria il
gruppo anonimo che si dice sta lavorando ad una revisione dei Trattati,
riducendo drasticamente il ruolo della Commissione Europea.
1 commento:
Gentilissimo Pennisi, grazie per aver interpretato il motto della mia Università che guida il mio lavoro: Universa Universis Patavina Libertas!
L'articolo da lei citato è stato pubblicato negli Stati Uniti, sul Journal of Corporate Accounting and finance: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/jcaf.v26.6/issuetoc
Ne esiste una versione più estesa che va alle radici del problema: l'insostenibilità del debito pubblico, se non a scapito della democrazia. Lo trova qui: http://www.academia.edu/17411281/HOW_EURO_SHRINKS_DEMOCRACY_INSIGHTS_FROM_THE_GREEK_CRISIS
Un cordiale saluto
Alberto Lanzavecchia
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