la bolla e le
paure
I bitcoin, la moneta «privata» che gli Stati vogliono regolare
I bitcoin, la moneta «privata» che gli Stati vogliono regolare
DI GIUSEPPE PENNISI
S i deve essere preoccupati per il forte aumento delle transazioni in bitcoin? Si tratta di una moneta elettronica, creata nel 2009, da un esperto informatico trinceratosi dietro lo pseudonimo di Shatoshi Nakamoto. Dopo un avvio lento (al 31 dicembre 2012 la circolazione era stimata in 140 milioni di dollari), c’è stata negli ultimi mesi, e soprattutto nelle settimane più recenti, un’impennata: alcune ricerche parlano di 1,2 miliardi di dollari, ma secondo stime recenti della Federal Reserve americana si sarebbe giunti a 6 miliardi.
Determinante chiave il cambio tra bitcoin e dollari: quattro settimane fa un bitcoin valeva (si tratta pur sempre di stime) 540 dollari, il 30 novembre era salito a 900. Il sottostante: la guerra valutaria nel Pacifico (poco notata nel Vecchio Continente alla prese con i nodi dell’euro).
Per alcuni, i bitcoin rappresentano la realizzazione del sogno del premio Nobel Frederick Hayek (e, più recentemente, dell’economista francese Maurice Allais) di tornare, come nell’antichità, a monete 'private', 'autoregolate', e 'in concorrenza l’una con l’altra' in modo che il mercato, e non la tecnocrazia, possa determinarne il valore (anche sulla base della qualità dell’autoregolazione). Per altri ancora, la diffusione dei bitcoin nasconde il rischio non tanto di una crescita non controllata della liquidità mondiale (come altre forme di moneta telematica, i bitcoin incidono non sulla quantità complessiva di moneta ma sulla sua velocità di circolazione); possono, però, accentuare movimenti speculativi nei confronti di questa o quella moneta (i movimenti di questi giorni verrebbero letti come un attacco al dollaro).
I bitcoin non sono la unica moneta 'privata', 'autoregolata' , e senza un padre con nome e cognome, nata recentemente: basti pensare al 'dinaro svizzero elettronico' utilizzato in Iraq per varie transazioni per una decina anni. Si differisce da queste, però, per la sua capacità di espandersi. La stessa esistenza e diffusione pongono complessi problemi giuridici.
Come si ottengono bitcoin? Sul mercato telematico (presso siti dedicati) in cambio di monete (dollaro, euro, yen, yaun) oppure tirandoli fuori dalla 'miniera’’ (come si fa con l’oro e l’argento) risolvendo – attraverso l’impiego di un’enorme quantità di potenza computistica – complicatissimi algoritmi matematici. Per questo motivo, l’aumento del valore dei bitcoin in circolazione è da attribuirsi quasi interamente al tasso di cambio.
Al pari di altre monete 'private' virtuali, i bitcoin hanno indubbi vantaggi: bassi costi di transazione, legittimazione come unità di conto e di riserva dai suoi utilizzatori, impossibilità di interferenza politica. Hanno anche seri svantaggi: incertezza, mancanza di regolazione esplicita, 'esternalità di rete' (più sono i suoi utilizzatori maggiore è il suo valore). I bitcoin hanno successo in gran misura a ragione degli alti costi associati ad altre forme di moneta elettronica. Delle proposte sul tappeto, la più interessante è ancora in bozza distribuita ad un numero limitato di amici da Nicholas Plassaras dell’Università di Chicago: il testo dovrebbe essere pubblicato nel numero di gennaio 2014 del Chicago Journal of International Law .
Il lavoro delinea un percorso tecnico- giuridico per portare i bitcoin nell’ambito delle regole di base del Fondo monetario internazionale (Fmi). Sempre che il loro crepuscolo non giunga prima della loro regolazione.
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