FINANZA/ Usa e Uk, due "missili" contro l’eurocrazia
lunedì 12 agosto 2013
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NEWS Economia e Finanza
Un paio di anni fa, Franco Reviglio
pubblicò un saggio stimolante sin dal titolo Goodbye, Keynes? Le riforme per
tornare a crescere: meno debito, più lavoro. Si noti il punto
interrogativo. Oggi all’interrogativo forse si risponderebbe negativamente e un
titolo possibile potrebbe essere Welcome Back. John Maynard Keynes. In
effetti, si respira tanta aria neo-keynesiana, se con il termine si indicano
politiche economiche che puntano sull’aumento della liquidità e della spesa
pubblica per portare a piena utilizzazione capacità produttiva non interamente
impiegata (specialmente il fattore di produzione lavoro). Due episodi della
settimana appena trascorsa - uno più noto, l’altro passato inosservato a molti
economisti, forse a ragione del periodo di vacanza - lo mostrano a tutto tondo.
Il più noto riguarda la Bank of
England (BoE), ossia la banca centrale della Gran Bretagna. Il nuovo
Governatore, il canadese Mark J. Carney (assunto a contratto dopo una selezione
internazionale con evidenza pubblica), ha annunciato chiaro e tondo che gli
obiettivi di politica monetaria verranno espressi in termini di riduzione del
tasso di disoccupazione. Qualcosa del genere lo sta facendo Ben Bernanke negli
Stati Uniti, ma non lo dichiara espressamente (anche in quanto gli statuti
della Federal Reserve impongono alle autorità monetarie americane di sostenere
la crescita, non solo di tenere bassa l’inflazione). Pure in Giappone,
l’offerta di moneta corre a briglia sciolta, ma non tanto per specifici
obiettivi occupazionali, quanto per perseguire una strategia nazionalista che
ridia all’Impero quella che il Governo ritiene la meritata e dovuta centralità
dell’arcipelago nel Pacifico.
In effetti, sarà interessante vedere
come nell’ambito dell’Unione europea la BoE (il cui obiettivo specifico è di
portare il tasso di disoccupazione al di sotto del 7%) potrà convivere con la
Banca centrale europea (Bce) guidata da Mario Draghi, che si è data l’obbligo
di impedire che il tasso d’inflazione superi il 2% l’anno. È fin troppo facile
anticipare uno scontro. Tanto più che in Europa oggi il principale problema è
l’occupazione, non l’inflazione.
In questo contesto, l’8 agosto è
arrivato agli abbonati un breve (31 pagine) ma importante paper di Kaushik
Basu, Vice Presidente Senior e Capo Economista della Banca mondiale (nonché
componente del direttivo dell’Iza, uno dei due maggiori istituti di ricerca
della Repubblica federale tedesca) e del Premio Nobel Joseph Stiglitz.
Offriamo il testo integrale del documento ai
nostri lettori. Il lavoro è una rigorosa analisi teorica in cui si demolisce il
Trattato di Lisbona, si fa a pezzi il Fiscal Compact, non si tratta bene la Bce
e si propone di emendare il Trattato al più presto per consentire in certe
circostanze la “mutualizzazione” del debito sovrano degli Stati dell’eurozona.
Quanto da far tremare più di un eurocrate.
Non conosco Basu. Ho avuto una certa
dimestichezza con “Joe” Stiglitz all’inizio degli anni Settanta quando, all’Institute
of Development Studies dell’Università di Nairobi, con Richard Jolly, John
Harris e Michael Todaro si ponevano le basi della “nuova teoria economica
dell’informazione”. È un mattacchione un po’ iracondo, ma con il cuore al posto
giusto. Il ragionamento di Basu e Stiglitz è disinteressato: non sono parte in
causa, ma non gioiscono affatto nel vedere l’eurozona affondare.
La loro analisi è rigorosa. Occorre
evitare che venga coperta da una coltre di silenzio in un’estate calda che
potrebbe anticipare un autunno rovente.
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