Il Rossini Opera
Festival a Pesaro, tra pregi e difetti
Il Rossini Opera Festival (ROF), la cui
trentaquattresima edizione è iniziata il 10 agosto e che dura due settimane, è
una vera eccezione nel mondo culturale italiano non solo perché, lavorando
d’intesa con la Fondazione Rossini, ha riscoperto tante opere obliate del
compositore ma in quanto “rende” sotto il profilo economico ed è un esempio di
collaborazione pubblico privato. In 34 anni non ha mai chiuso un bilancio in
passivo ed ha dato un contributo importante alla comunità ed all’Italia.
I numeri d’oro
Dal bilancio civilistico 2012, dal bilancio sociale
sempre del 2012 e da uno studio degli impatti del ROF effettuato dalla
Università di Urbino emergono questi aspetti salienti:
- nell’arco degli ultimi cinque anni i costi
complessivi della manifestazione sono del 20% da 6 a 5 milioni di euro ed il
numero di dipendenti fissi ridotto a 7 unità (gli addetti raggiungono 235 circa
nelle settimane del Festival in agosto). Dei 5 milioni, circa gli oneri sociali
(versati a Enpals, INPS,ecc.) e le imposte -in breve, il ‘ rientro diretto all’erario’
ammontano a circa a 700 milioni.
- la biglietteria porta incassi per un milione (non ne
può portare di più a ragione della capacità fisica dei teatri); due terzi degli
spettatori sono stranieri molto fidelizzati. Gli sponsor privati – imprese, banche,
fondazioni – contribuiscono per circa 800 mila euro. Il resto proviene dai soci
(Stato, Regione, Provincia, Comune, Fondazioni), da coproduzione e da vendite
di allestimenti. Ad esempio, il Guillaume Tell di questo Festival è
coprodotto con il Regio di Torino ma andrà anche a Bologna ed altrove e
L’Occasione Fa il Ladro, ripresa quest’anno, dal debutto nel 1987 ha viaggiato
in più di 30 teatri di quattro continenti.
- nel periodo del Festival, il fatturato del settore
dei servizi di Pesaro aumenta di 11 milioni di euro. In sintesi,
contando indotto e moltiplicatore, un euro di contributo pubblico (al netto dei
rientri diretti agli enti previdenziali ed all’erario) ne genera cinque di
valore aggiunto a Pesaro ed al suo hinterland.
L’Italiana in Algeri
Questa edizione prevede tre opere in versione scenica,
una in edizione da concerto, Il Viaggio a Reims in un allestimento ventennale
per i giovani cantanti dell’Accademia Rossiniana ed in una versione per i
bambini ed una seria di concerti.
Sono da sempre un sostenitore del Festival ma devo
ammettere che quando affronta le opere più note del Pesarese “toppa”. E’
successo due volte con Il Barbiere di Siviglia ed è la seconda volta che
avviene con l’Italiana in Algeri. Dopo avere presentato un allestimento
semplice ma esemplare all’inizio degli Anni Ottanta, ne ha proposto uno curato
da Dario Fo che mostrava tutto ciò che un regista non deve fare quando
ha per le mani un capolavoro. Il 10 agosto il Festival ha debuttato con una
messa in scena di Davide Livermore molto discutibile e contestata da
parte del pubblico.
Come è noto, l’intreccio si basa su come l’italiana
Isabella riesce a liberare, con una serie di esilaranti stratagemmi, il suo
innamorato Lindoro finito schiavo del Bey di Algeri Mustafà, stancatosi della
propria moglie Elvira ed invaghitosi della bella straniera (tanto più che le
italiane avrebbero avuto la reputazione di essere disponibili). I due atti sono
un inseguirsi di scoppiettanti e divertenti colpi di scena, con una musica che,
per economia di mezzi e ricchezza di contenuti, è tra le più belle di
Gioacchino Rossini, all’epoca non ancora 21enne. “L’Italiana” non solo assicurò
a Rossini successo, aprendogli le porte della Scala, del San Carlo e dei due
maggiori teatri romani, ma è uno dei lavori del pesarese (con “Il Barbiere” e
“Guglielmo Tell”) rimasti nei cartelloni anche ai tempi del melodramma verdiano
e del verismo, quando il resto della sua produzione veniva ignorato. La carica
de ‘L’Italiana’ è senza dubbio collegata anche con la vera e propria esplosione
di eros del giovane Rossini, amante di Isabella Colbran – per cui scrisse
l’opera – che aveva sette anni più di lui e, contemporaneamente, anche amante
dell’impresario Domenico Barbaja, datore di lavoro di ambedue. Un ménage à
trois che durò diversi anni.
Che c’azzecca il Viagra?
Davide Livermore
(con Nicola Bovey per le scene e Gianluca Cavaschi) sembrano
partire da un assunto simile a quello di Dario Fo: senza il loro intervento,
l’opera non farebbe ridere mentre nel libretto del dimenticato Angelo Anelli
e nella musica di Rossini, il brio è dalla prima all’ultima nota.
L’allestimento scenico e la drammaturgia si ispirano alla ‘PopArt’ ed ai fumetti Anni Settanta, seguendo l’operazione fatta da Mosher Leiser e Patrice Caurier per il ’Giulio Cesare’ di Haendel che nel 2012 ha trionfato a Salisburgo ed altrove. Mentre però per Haendel si trattava di rendere plausibile un lungo lavoro barocco molto complicata e la regia era molto misurata, in questa Italia si annega tra folle di comparse e gag a getto continuo. Non sono ci sono punte di “omosex” che avrebbero causato a Rossini coliche intestinali ed è in scena anche il “viagra” di cui certo non aveva esigenza il giovane Gioacchino per dar prova delle sue doti alla Isabella Colbran. Soprattutto, è tutto eccessivo (ed anche privo di ritmo). Inoltre, tra cha-cha-cha, spogliarelli ed altro si perde l’importante componente femminista dell’opera.
L’allestimento scenico e la drammaturgia si ispirano alla ‘PopArt’ ed ai fumetti Anni Settanta, seguendo l’operazione fatta da Mosher Leiser e Patrice Caurier per il ’Giulio Cesare’ di Haendel che nel 2012 ha trionfato a Salisburgo ed altrove. Mentre però per Haendel si trattava di rendere plausibile un lungo lavoro barocco molto complicata e la regia era molto misurata, in questa Italia si annega tra folle di comparse e gag a getto continuo. Non sono ci sono punte di “omosex” che avrebbero causato a Rossini coliche intestinali ed è in scena anche il “viagra” di cui certo non aveva esigenza il giovane Gioacchino per dar prova delle sue doti alla Isabella Colbran. Soprattutto, è tutto eccessivo (ed anche privo di ritmo). Inoltre, tra cha-cha-cha, spogliarelli ed altro si perde l’importante componente femminista dell’opera.
Le musiche e gli attori
La parte musicale aiuta solo in parte a correggere i
difetti della drammaturgia. Incolore sin dall’ouverture la concertazione di José
Ramón Encinar, sino ad ora ignoto in Italia. Eccellente Alex Esposito
nel ruolo di Mustafà (in grado anche di danzare, mentre canta, scatenati
cha-cha-cha), tecnicamente perfetto, e con un volume che cresce di anno in
anno) il giovane Yishe Shi (un frutto della venticinquennale Accademia
Rossiniana) in un ruolo davvero impervio, quello di Lindoro. Anna Goryachova,
Isabella, è molto bella, specialmente in bikini, (e promettente) ma evita i
registri acuti mentre Rossini ha scritto la parte per una cantante in grado di
scendere a profondità di un contralto. Ricordiamo che lo cantava Marylin Horne
e che un mezzo provetto come Sonia Ganassi lo ha sempre rifiutato perché non si
riteneva in grado di affrontarne il registra grave. Nel 2006, il ROF propose Marianna
Pizzolato, meno attraente della Goryachova ma con la vocalità giusta.
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