Esodati e
super-pensioni Il cantiere previdenza
Dopo l’Imu l’esecutivo dovrà affrontare altri nodi economici Le ipotesi sul tavolo per ridurre il gap tra assegni d’oro e «minime»
Dopo l’Imu l’esecutivo dovrà affrontare altri nodi economici Le ipotesi sul tavolo per ridurre il gap tra assegni d’oro e «minime»
DI GIUSEPPE PENNISI D opo l’Imu, le pensioni. Se e quando il governo riuscirà a superare lo scoglio dell’imposta sulla prima casa, si troverà alle prese con un nodo tradizionalmente destinato a fare entrare in fibrillazione uomini, donne, bambini, anziani, mercati finanziari e, quindi, a causare temporali sotto il cielo della politica: la previdenza.
Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha confermato ad Avvenire che, in settembre, si aprirà un tavolo per tentare di risolvere il problema degli esodati. Si tratta di un tema complesso in quanto ci sono molteplici categorie , tra cui alcune rimaste senza stipendio e senza trattamento previdenziale in seguito a incentivazioni, pure pubbliche. E l’ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, ha gettato un sasso nello stagno: a ragione della situazione del mercato del lavoro, di frequenti interruzioni di impiego, di basi contributive agganciate ad un Pil che non cresce e si contrae, occorre una riforma molto più vasta dei 'rattoppi' per gli esodati. Si sono aggiunte altre voci con la pubblicazione di elenchi (e foto) di iper-pensionati d’oro o di diamante.
La proposta nel Palazzo è un contributo addizionale su redditi e pensioni 'elevati' per la costituzione di un fondo di riequilibrio a favore dei meno fortunati. Non sarebbe discriminatoria , e quindi sarebbe costituzionale, perché 'erga omnes', lavorativi attivi, redditieri e pensionati: una 'tassa di scopo' che aumenta sia il carico tributario contributivo complessivo sia il cuneo fiscale. Rendendo imprese grandi e piccole ancora meno competitive e spegnendo i flebili barlumi di ripresa.
Il problema segnalato da Amato (ed altri) esiste e non può essere eluso. Come amava dire Churchill, per scrutare bene il futuro, occorre guardare al passato. Sono trascorsi 18 anni dalla 'riforma Dini' che ha introdotto il sistema contributivo e 20 dalla 'riforma Amato' che ha portato da 15 a 20 anni di contributi il requisito per avere titolo ad un trattamento previdenziale ordinario. Quando il requisito venne allungato (gennaio 1993), la stessa Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) brontolò: in gran parte dei 190 Stati membri dell’Oil si richiedono attorno a dieci anni. Altrimenti, molti lavoratori finiscono nel limbo dei silenti che per avendo contribuito per un lasso di tempo abbastanza lungo non fruiscono, al termine della loro vita attiva, di trattamenti ed il loro lavoro impingua quelle degli altri. In Italia, la contraddizione è tanto più palese poiché per la ’gestione separata’ (chiamata INPS2) si richiedono solo cinque anni di contributi.
Occorre, in primo luogo, fare leva su questo tassello (i modelli econometrici di INPS e RGS consentono di fare i conteggi in pochi minuti). Occorre, poi, introdurre un 'tetto' sia ai contributi sia ai trattamenti (come avviene in quasi tutti i Paesi). Ovviamente, la norma non può essere retroattiva. Occorre, infine, ripristinare 'l’integrazione al minimo', a carico dell’erario, per le fasce più basse degli incapienti. I costi complessivi devono essere coperti da spese risultanti poco proprietarie in base alla spending review.
E per gli attuali 'pensionati d’oro' o di 'diamante'. Sono pochi ed anziani. Tutti ormai ne conoscono nomi e volti. Pazientiamo. In attesa che vengano loro aperti i pascoli dell’eternità.
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Avanza l’idea di un contributo addizionale su redditi elevati che favorisca la costituzione di un fondo di riequilibrio per i meno fortunati Si studia anche un 'tetto' massimo
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