OPERA/
Tosca: Scarpia è in orbace e Floria ha smarrito lo smart phone
martedì 6 agosto 2013
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NEWS Musica
Tra le tante edizioni di ‘Tosca’ (opera composta per un teatro al
chiuso – debuttò a Roma il 14 gennaio 1900, e con essa nacque il ‘dramma in
musica’ italiano del Novecento - a ragione della complessissima scrittura
orchestrale) in arene estive all’aperto, due spiccano su tutte le altre: quella
che si replica nella sede estiva del Teatro dell’Opera di Roma sino a oggi 6
agosto e quella al Gran Teatro sul lago Massaciuccoli sino al 22 agosto.
Iniziamo con la prima, anche in quanto la seconda è una vasta coproduzione
destinata a girare in Italia ed all’estero. Alle Terme di Caracalla (pieno in
ogni ordine di posti) da un pubblico che, dopo il termine dello
spettacolo, ha atteso oltre un’ora il taxi assicurato da una cooperativa che
dovrebbe essere affidata ad altre mansioni), si può ammirare Martina Serafin,
forse la cantante più adatta al ruolo in questi anni: una vocalità di lusso
specialmente nell’assurgerne ad arditi acuti ed a discenderne, una personalità
straripante, al tempo stesso sensuale, seducente e determinata. In breve, la sola
di reggere il confronto con Renata Tebaldi che proprio alla Terme di Caracalla
trionfò nel ruolo (vidi lo spettacolo a 14 anni) o con Maria Callas (di cui ci
resta un film – del solo secondo atto- dell’edizione firmata da Franco
Zeffirelli al Covent Garden). Il suo Vissi d’Arte è da antologia.
Una serata tra le rovine delle Terme merita di essere dedicata a ‘Tosca’
se il ruolo è cantato da Martina Serafin. Lasciano un po’ freddi il coreano
Alfredo Kim (letteralmente sovrastato da Martina Serafin e con una vocalità da
bari-tenore nonché una tendenza a ‘strillare’- ad esempio E Lucean le Stelle)
e Claudio Sgura con aspetto e portamenti da ‘bravo ragazzo’, quindi poco
credibile come il sadico erotomane Scarpia – ruolo che potrebbe cantare bene
alla radio od in disco, ma poco adatto a lui sulla scena. Grandi attese per
Renato Palumbo, uno dei maestri concertatori migliori su piazza, ma – si
direbbe in dialetto romano- la sua direzione è stata ; alla prima del primo
agosto, piuttosto ‘moscia’ ed il sistema di amplificazione (rivolto soprattutto
alle voci) ha reso difficile apprezzare le finezze orchestrale.
Il vero nodo, però, è la regia. Dopo avere trasportato alla fine degli Anni
Trenta, Cavalleria Rusticana ed Il Gattopardo all’inizio di
luglio, l’amico Pier Luigi porta nello stesso periodo anche Tosca . Ciò
fornisce unità stilistica alla ‘stagione’ estiva alle Terme di Caracalla e
consente forse qualche risparmio di scene e consumi, ma presenta vari problemi.
In primo luogo, Sardou (ed ancor meglio di lui Giacosa ed Illica che ne ha
ridotto il dramma da cinque a tre atti , eliminando episodi e personaggi
secondari) pongono una datazione precisa per le 18 ore in cui si svolge
l’intreccio: il 16 giugno 1800, quando la mattina giunse a Roma la notizia che
a Marengo la ‘coalizione’ guidata dall’Austria, avrebbe sconfitto l’armata di
Napoleone, si approntarono festeggiamenti, ma verso le 22 si apprese che il
Bonaparte aveva disfatto gli avversari e si apprestava a conquistare il resto
d’Italia. Se Floria Tosca avesse avuto uno smart-phone, l’equivoco non ci
sarebbe stato e Scarpia si sarebbe tolto l’orbace e vestito un doppio petto
sarebbe stato alle prese con bruciare carte e darsi alla fuga piuttosto che
tentare un’ultima conquista violenta.
In secondo luogo, già Jonathan Miller, Peter Sellars e Robert Carsen hanno
ambientato Tosca in epoca fascista (quindi, non si tratta di
una novità) ma hanno scelto gli ‘anni dello squadrismo’, quelli del ‘delitto
Matteotti’, mentre i costumi, soprattutto femminili dello spettacolo di Pizzi,
fanno intendere che si è nel 1935-37, quelli chiamati da De Felice, da Parlato
e da tutta una scuola di storici ‘gli anni del consenso’ quando l’Italietta
pensava di essere diventata un Impero. Allora, non si torturava ma si cercava
di accattivare anche intellettuali ‘dissidenti’, si creava la biennale di
musica contemporanea a Venezia (invitando numerosi musicisti esiliati dalla
Germania) e al Teatro dell’Opera si rappresentava Wozzeck di
Alban Berg, proprio per irritare il dicastero della cultura di Berlino. Scelta
quindi doppiamente errata, nonostante l’elegante struttura scenica ed i
bellissimi costumi della Sig.ra Serafini. Il pubblico, però, non è
composto da critici trinariciuti. Ha applaudito più volte a scena aperta
e , al calar del sipario, ci sono state vere e proprie ovazioni. Numerosi,
soprattutto gli stranieri, si sono giustamente impazientiti per l’attese di
oltre un’ora del servizio il taxi assicurato da una cooperativa che dovrebbe
essere affidata ad altre mansioni. E’ doveroso segnalare il problema al Teatro.
A Torre del Lago (3200 posti senza amplificazione ma con acustica non
ottimale) è in scena una la grande coproduzione con il Palau de les Arts Reina
Sofia di Valencia, l’Opéra di Montecarlo, il Teatro Regio di Torino e il nuovo
lirico di Tianjin in Cina:. Particolarmente interessante la regia e la
scenografia di Jean-Louis Grinda e Isabelle Partiot-Pieri: poche strutture
fisse ed un grande gioco di proiezioni e luci tali da potersi adattate a
palcoscenici molto differenti. Spiccano il timbro chiaro ed il volume generoso
di Marco Berti e l’abilità con cui Norma Frantini passa da ‘mezze voci’ a
drammatici acuti. Promettente il giovane Raffaele Viviani nel ruolo di Scarpia.
Puntuale la bacchetta di Alberto Veronesi, veterano della partitura (al pari
dell’orchestra di Torre del Lago).
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