Quelle due tre cose che so dell’Egitto
19 - 08 - 2013Giuseppe PennisiEsportare democrazia
Non è impossibile “esportare democrazia”. Lo è invece se, seguendo le categorie elaborate da Giovanni Sartori nel 1987 in Teoria della Democrazia Rivisitata, si tenta di esportare quel modello specifico di democrazia rappresentativa che in Europa e nel Nord America (tutto sommato una proporzione molto modesta della popolazione mondiale) si è affermata alla fine del Diciottesimo Secolo. Lo constatiamo proprio in questi mesi in Giappone dove forse prima e meglio che altrove si è cercato di trapiantare la democrazia, dettando anche la Costituzione: il Governo Abe intende riformare la carta fondamentale per tornare non solo ad una politica nazionalista ma anche a forme di democrazia comunitaria con espressioni di democrazia diretta.
La “primavera araba” è stata salutata come un vento di “democrazia occidentale”. La spiego, invece, come uno delle periodiche ribellioni contro l’arroganza del potere di regimi privi di ricambio e corrotti. Il vasto impiego di cellulari e di social network altro non sono che richiami alla democrazia diretta tipica di culture dove non ha ancora attecchito la democrazia rappresentativa. La tecnologia, d’altronde, sta facilitando forme di democrazia diretta basate sul web anche in Paesi occidentali, negli stessi Stati Uniti d’America.
La democrazia in Egitto
Il Paese ha una storia lunga e complessa: Nadia Jounes amava ricordare come a Corte si parlasse l’italiano (a ragione sia dell’unificazione, per così dire, guidata da Mehmet Ali, albanese che preferiva l’italiano al dialetto del proprio clan, sia del lavoro degli ingegneri italiani per il funzionamento del Canale di Suez). Il celebre Teatro dell’Opera dove avvenne la prima della verdiana Aida era la copia conforme del Teatro Valle di Roma , adorata dal Kedivè più di Parigi. Re Faruk, cacciato dai militari, fu il primo regnante egiziano a parlare arabo. Tanto la Casa Reale quanto i Governi successivi erano rigorosamente “laici” come necessario in un Paese con 8,5 milioni di cristiani, una forte minoranza ebrea, e l’esigenza convivenza tra sunniti e sciiti. La “Fratellanza Mussulmana”, fondata nel 1928, è stata più volte messa fuori legge poiché, nata come associazione con fine umanitari e sociali, è diventata un soggetto politico sunnita estremista basata su una lettura del Corano non accettata dalla Facoltà di Teologia della Grande Moschea Al Azhar, uno dei maggiori centri di riflessione dell’Islam. Ho avuto modo di incontrare lo stesso Nasser e di seguire seminari (in francese) a Al Azhar. Nasser, rigorosamente laico, temeva che la “Fratellanza” volesse attentare alla sua vita (come, peraltro, ha fatto, spesso con successo, rispetto ad altri leader). I teologi di Al Azhar la consideravano eretica perché con la sua visione estrema, perdeva quelle caratteristiche di ecumenismo, di tolleranza e di egualitarismo alla base della diffusione dell’Islam nel mondo.
In Egitto ed altrove, la “Fratellanza” (che ha creato Hamas nella vicina Palestina ed ha stretti legami con il terrorismo di al-Quaida) è frutto del desiderio di rivalsa, specialmente di parte del mondo arabo, contro l’Occidente. Fenomeno così bene studiato da Bernard Lewis: le “masse arabe” sanno di essere povere e lontane della modernizzazione mentre sino all’anno mille i loro antenati erano stati all’avanguardia della tecnologia, organizzazione, filosofia, matematica, scienze. Da qui “la collera” contro l’Occidente.
La modernizzazione in Egitto
Da Nasser a Mubarak c’è una linea rossa in favore della modernizzazione , pur in un contesto difficilissimo. Quando lavoravo in Egitto, nel 1969, la popolazione ammontava ad una trentina di milioni e si temeva che la terra arabile non sarebbe stata in grado di nutrirla; quindi, grandi piani non solo di irrigazione ma di industrializzazione. Negli Anni Ottanta, il Paese si era posto all’avanguardia (nell’area) per l’innovazione finanziaria. In quaranta anni, però, la popolazione è triplicata e la disoccupazione giovanile aumentata in materia esponenziale. Un terreno fertile per la “Fratellanza”, che circa trent’anni fa ha dichiarato di rinunciare alla violenza e di perseguire le regole democratiche, ottenendo 88 seggi (il 20% del totale) alle elezioni politiche del 2005. In effetti, alle ultime elezioni per il Parlamento ha ottenuto la maggioranza relativa (235 seggi su 508). Pochi mesi dopo, il suo candidato alla Presidenza, Morsi, ha vinto con il 51% dei suffragi. Il ritorno a posizioni radicali, innescato da condanne considerate “troppo blande” nei confronti dei leader del precedente regime, è stato immediato. In un Paese in cui esistono una borghesia occidentalizzata e forze armate che dal 1952 guidano il processo di modernizzazione la risposta non poteva non essere immediata.
Ed ora?
Non credo che le Nazioni Unite, l’Unione Europea od altri possano fare un granché per contribuire a risolvere la situazione. Come nel romanzo The Ugly American di William Lederer ed Eugene Burdick, ed ancor meglio nel film tratto dal libro ed interpretato da Marlon Brando, si rischia di causare soltanto danni. La guerra civile in corso in Egitto ha, infatti, una dimensione ulteriore: il conflitto che da 1500 anni durata tra radicali sunniti e radicali sciiti. Un conflitto che lo stesso Churchill ha avuto grandi difficoltà a comprendere.
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