Canone
Rai, cura alla Bolivar
25 - 08 - 2013Giuseppe Pennisi
Per
privatizzare la tv di Stato, l'Italia potrebbe seguire il modello intrapreso
dal Paese sudamericano negli anni Novanta
La
mia nota sul “canone Rai” (apparsa il 22 agosto su Formiche.net) mi
ha fatto ricevere due ordini di commenti. Da un lato, giuristi (anche dell’Alta
Corte) hanno notato che se il “canone” era una tassa di scopo quando la Rai
operava in monopolio, è diventata un’imposta di scopo da quando il
monopolio è stato abolito. Dovrebbe, quindi, essere “progressiva” ed i suoi
proventi dovrebbero affluire non alla Rai ma all’erario. Da un altro, se il
“canone” è di dubbia costituzionalità e non risolverebbe i “buchi” di bilancio
della Rai se non con un aumento dei trasferimenti, perché non privatizzare una volta per tutte.
Privatizzare
la Rai è una missione coraggiosa ma non impossibile. Nella situazione attuale –
è vero – la Rai avrebbe difficoltà a trovare altri acquirenti che non
fossero o una fondazione con scopi di beneficenza o un imprenditore che potesse
acquisire una posizione monopolistica (in aperta contravvenzione delle regole
italiane ed europee).
Con immaginazione ed esperienza, tuttavia, la denazionalizzazione della Rai può essere più semplice di quanto non sembri.
Con immaginazione ed esperienza, tuttavia, la denazionalizzazione della Rai può essere più semplice di quanto non sembri.
Il
primo passo può apparire bizzarro: collegare la privatizzazione della Rai alla
nascita di una vera previdenza complementare per gli italiani. Il
secondo consiste nel rendere la Rai una vera public company. C’è un precedente
importante: il modo in cui sono state realizzate, congiuntamente, le
privatizzazioni ed i fondi pensioni in Bolivia negli anni Novanta,
seguendo i suggerimenti di Steve H. Hanke, direttore del Centro di
Economia Applicata della Università Johns Hopkins di Baltimore e Senior
Fellow del Cato Institute illustrati oltre che dall’ideatore da Martin
Feldstein, per lustri Presidente del National Bureau of Economic Research,
nonché uno dei maestri più autorevoli del pensiero economico internazionale (ed
alla guida del Comitato dei consiglieri economici di due presidenti degli Stati
Uniti).
In
pratica, ciò vuol dire dare, gratuitamente, azioni Rai a tutti gli
italiani. Seguendo quale metodo? Uno semplicissimo: l’età anagrafica, quanto più
si è anziani tanto più si è pagato il canone (e si sono sorbiti programmi di
pessima qualità), avendo, dunque, titolo ad un risarcimento con azioni da
impiegare per ottenerne un vitalizio nella tarda età. Le azioni sarebbero vincolate
per un lasso di tempo – ad esempio, cinque anni – a non essere poste sul
mercato ma ad essere destinate ad un fondo pensione aperto (ed ad ampia
portabilità) a scelta dell’interessato il quale, però, manterrebbe tutti i
diritti in quanto azionista (elezione degli organi di governo, vigilanza sul
loro operato, definizione dei loro emolumenti) in base alle azioni di cui è
titolare sin dal primo giorno successivo alla denazionalizzazione della Rai.
Gli azionisti deciderebbero se scorporare le reti. Unica regola: pareggio di
bilancio o per l’intera azienda o per singola rete in quanto aziende
distinte (anche se collegate). Il management dell’intera Rai (o di una rete)
che non riuscisse a mantenere il pareggio di bilancio (e auspicabilmente a
chiudere in utile) sarebbe passabile di azione di responsabilità e, ai sensi
della normativa societaria in vigore, se l’indebitamento superasse certi
parametri la liquidazione diventerebbe obbligatoria.
Ed
il “servizio pubblico”? Nell’età della rete delle reti, ci bada
Internet: già adesso tutti i dicasteri, le Regioni, le Province, i Comuni, le
Comunità Montane dispongono di siti interattivi. I siti di informazione e
contro-informazione pullulano – tanto generalisti quanto specializzati. E la
cultura? In primo luogo, pensiamo che gli italiani siano più accorti, e più
sensibili alla cultura, di chi compila, ed approva, gli attuali palinsesti: una
Rai che risponde al popolo azionista proporrà più cultura dell’attuale (come
dimostrano gli abbonamenti a canali culturali digitali). In secondo, si potrebbe
prevedere agevolazioni tributarie per gli sponsor.
È
un miraggio? Una provocazione? No. La “cura alla Bolivar” per la Rai è
la modernizzazione. Specialmente in tempi di spending review dove agli italiani
viene detto, ed imposto, di stringere la cinghia.
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