ED IN AUTUNNO SI
SCEGLIERA’ COME TAGLIATE IL DEBITO
Giuseppe Pennisi
Piovono
pietre sulla finanza pubblica. Il 12 agosto (mentre il Presidente del Consiglio
era in missione in Azerbaijan, gran parte dei Ministri in vacanza, il
Parlamento in ferie), il servizio studi dell’Ocse ha diramato un nuovo lavoro
econometrico in base al quale lo stock di debito pubblico (in Italia al 130%
del Pil) farebbe rallentare la crescita economica ove superasse il 60% del Prodotto
Interno –0 non il 90% sostenuto per anni dalla ‘dottrina dominante’. Alla
ripresa dei lavori, il ‘ dossier ‘ del debito sarà, come non mai,
all’attenzione dell’Esecutivo e del Legislativo. Le proposte sono
numerosissime. Per orientarsi è utile raggrupparle in quattro gruppi
principali, senza attribuirle a specifici economisti (spesso si sovrappongono)
e rinviando, per i dettagli, ad un E-Book nel sito del Cnel ed al lavoro della
Fondazione Astrid per il Governo Monti.
Un’imposta patrimoniale. E’ il metodo impiegato per decenni allo scopo di
ridurre il debito. Lo stesso Luigi Einaudi scrisse che lo riteneva più
efficiente e più equo dell’operazione da lui pilotata (maxi-inflazione e
riforma monetaria) per portare , nell’immediato dopoguerra, lo stock di debito
al 25% del Pil. E’, però, difficilmente praticabile. Un’imposta sulla ricchezza
finanziaria porterebbe ad un deflusso di capitali (e smorzerebbe i cenni di un afflusso
dall’estero; dovrebbe essere accompagnata da controlli sui movimenti di
capitale (che ci porterebbero al di fuori dell’euro e secondo alcuni della
stessa Unione Europea). Un’imposta sulla ricchezza immobiliare causerebbe il
tracollo totale dell’edilizia il rischio di vera e propria rivolta dell’80%
delle famiglie. Un prelievo sui conti
correnti (analogo a quello attuato del Governo Amato nella estate 1991) avrebbe
conseguenze ancora più dirompenti.
Dismissioni di beni sotto il controllo
dello Stato. E’ il percorso seguito
negli Anni Novanta (con esiti non sempre pienamente soddisfacenti) e tentato
senza grande successo nel primo decennio del nuovo secolo. Come ha ricordato Avvenire del 23 luglio scorso, nel 2012,
Il Governo Monti, pur intenzionato a de-nazionalizzare, non è riuscito neanche
nel tentativo di privatizzare l’unione degli ufficiali in congedo. I nodi sono
due. Da un lato, mentre due terzi del debito afferiscono allo Stato ed il resto
a Regioni, comuni ed enti locali, due terzi del capitale sono sotto il
controllo delle autonomie: sarebbe necessaria una riforma costituzionale per
sboscare il ginepraio. Da un altro, nell’ambito dello Stato, privatizzazioni
effettive dovrebbero riguardare quote di controllo dei ‘gioielli di famiglia’
(Finmeccanica, Eni , Enel) oppure giganti azzoppati (come la Rai) per i quali
non esistono acquirenti.
Prestito forzoso. Si propongono versioni più raffinate rispetto a quelle
utilizzate, nella prima metà del Novecento, per finanziare guerre – l’’ oro
alla Patria’ delle nostre nonne - oppure spese risultanti da calamità naturali.
Si va da un allungamento semi-volontario delle scadenze di titoli pubblici alla
costituzione di un fondo a cui i proprietari di casa farebbero un prestito
ipotecario del 10% del valore della loro abitazione in cambio di garanzie di
non essere ‘mai’ sfiorati da imposte patrimoniali. L’allungamento delle
scadenze potrebbe innescare sfiducia dei mercati internazionali. La causerebbe
pure il prestito ipotecario dato che pochi crederebbero a ‘garanzie’ vincolanti
per Governi e Parlamenti del futuro. La saga previdenziale, con i suoi ‘esodati
’, non aiuta certo in questi mesi a ritenere che le leggi siano immutabili e
forniscano diritti acquisiti per sempre.
Riscatto del debito ad interessi più
bassi. Ci sono esempi anche recenti che hanno dato alcuni frutti
interessanti, principalmente il Treuhandanstalt (THA) tedesco per ripianare il debito dei
Lȃnder
dell’Est ed, in parallelo, avviarvi un processo di crescita. Altri riguardano
il rientro dal debito previdenziale in numerosi Stati dell’America Latina.
Altri ancora le varie forme di ‘Brady bonds’ utilizzare per snellire il debito
pubblico estero di Paesi emergenti. In effetti, i ‘gioielli di famiglia’ non
verrebbe ceduti o de-nazionalizzati ma posti a garanzia di un fondo che
emetterebbe obbligazioni a tassi contenuti (proprio a ragione della garanzia
delle migliori grandi imprese a partecipazione pubblica) per riscattare
gradualmente parte del debito. Lo svantaggio principale consiste nei tempi
necessari per dare vita all’istituzione, ingaggiare il personale, definire le
procedure operative. E via discorrendo.
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