martedì 20 agosto 2013

Semplificazione: o si semplifica o si affoga in L'Indro 20 agosto


Regole che frenano

Semplificazione: o si semplifica o si affoga

Possiamo avere una politica economica pro-crescita senza una drastica semplificazione?

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Di Giuseppe Pennisi

 

Possiamo avere una politica economica pro-crescita senza una drastica semplificazione? Da anni esiste un dicastero; qualcosa si è fatto anche con il Decreto ‘Del Fare’. Ma quanto più si tenta di semplificare la regolazione nazionale tanto più prolifera quella europea, un vero e proprio Leviathan che vomita regolamenti di fuoco.

La regolamentazione per dare vita al mercato unico europeo (e farlo funzionare) ammonta a 150.000 pagine -ancora più carta è stata necessaria  per la moneta unica ed ammennicoli vari; il costo dei regolamenti Ue su cittadini ed imprese è variamente stimato tra l’1 ed il 3,5% del pil complessivo dell’Europa a 27; lo documenta Alan Hardacre in un saggio pubblicato dall’Eipa (l’istituto europeo di formazione  per la pubblica amministrazione, un ente che non inforca certo occhiali malevoli nei confronti delle istituzioni europee - che lo finanziano). In Germania, soltanto gli obblighi di fornire informazioni alla burocrazia federale (escludendo quella dei Länder) tocca 40 miliardi di euro l’anno (in base ad una stima effettuata su 7.000 dei 10.500 obblighi d’informazione individuati dal Consiglio federale per il Controllo della regolazione); l’ultimo rapporto annuale del Consiglio in questione afferma che si tratta di una stima per difetto, ma che il Governo federale si è impegnato a ridurre costi delle regole su cittadini ed imprese del 25% e che, di riffa o di raffa, lo farà (la determinazione teutonica è nota, anzi notoria). I tedeschi hanno preso a modello l’Olanda che, secondo il più recente ‘International Regulatory Reform Report’, in libreria in questi giorni, «è diventata un modello ed  un leader internazionale in materia di riforma della regolamentazione». Anche la Francia (notoriamente statalista ed interventista) ci sta dando a fondo: dal 2006, afferma un saggio di Frédéric Bouder, si possono avere in otto giorni tutte le autorizzazioni per fare decollare un’impresa. In Francia, come in America dall’epoca del primo Governo Reagan (misura che nessun Presidente o Congresso successivo ha modificato), tra breve tutti i disegni e le proposte di legge dovranno essere corredati non solo di una relazione tecnica relativa all’impatto sul bilancio dello Stato (analoga a quanto predisposto in Italia con l’ausilio della Ragioneria Generale dello Stato) ma anche da un’analisi costi benefici (o costi efficacia) rigorosa.

Queste ed altre informazioni, dati ed analisi si raccolgono nella ricca documentazione presentata alla International Regulatory Reform Conference diventata un evento annuale a cui partecipano (su inviti individuali) regolatori e de-regolatori di tutto il mondo. In breve, tutti (Governo, Parlamenti, individui, famiglie, imprese) si sentono imbrigliati in una montagna ormai disincantata di regole grandi e piccole spesso da loro stessi generate o proposte. Ciascuna ha una sua giustificazione puntuale (o la aveva quando Governi e Parlamenti oppure autorità di regolazione le hanno varate). Tuttavia, sono adesso un freno allo sviluppo, specialmente dei Paesi industriali ad economia di mercato e più particolarmente nell’iper-regolata Ue (dove regole comunitarie si sommano a quelle internazionali a quelle statali, a quelle regionali a quelle provinciali a quelle comunali a quelle delle comunità montane, e via regolamentando). La montagna disincantata spiega, in certa misura, perché da qualche anno siano i Paesi in via di sviluppo ed a basso reddito pro-capite (dove le regole sono poche e poco osservate) a tirare la carretta dell’economia mondiale. L’eccesso di regolazione in Europa spiega, in certa misura, perché la crisi finanziaria scoppiata negli Usa ha rallentato l’economia americana (meno regolata di quella Ue) ma ha portato la recessione nel vecchio continente.

Cosa fare? Un po’ tutti si arrabattano a semplificare la regolazione e a frenare l’incontinenza di chi ne propone sempre di aggiuntiva. L’Italia ha poche lezioni da offrire. E’ poco credibile la cifra di 16 miliardi di euro pubblicizzata come costi di informazione che gravano su cittadini ed imprese (rispetto ai 40 miliardi, limitati al Governo federale computati in Germania). E’stato condotto per alcuni anni uno studio sui costi di un campione di regolazioni; i contribuenti lo hanno pagato ma i suoi risultati non sono mai stati pubblicati e discussi.

Il ‘regulatory budgetting’ intrapreso in modo sistematico in Gran Bretagna e già sperimentato con successo negli Usa in alcuni settori (sanità, ambiente). Anche in Italia, c’è qualche esempio (lo si è fatto ad esempio nel valutare la posizione Ue in materia ambientale o nell’esaminare la revisione delle tax expenditures per le elargizioni liberali per la cultura). Non lo abbiamo presentato, però, al resto del mondo. Se non mostriamo agli altri le cose buone che facciamo, non lamentiamoci di non essere trattati bene. Occorre soprattutto pensare allasunset regulation’ (ossia tutta la normativa deve essere a tempo e decade se non varata di nuovo dagli organi preposti) che il Governo in carica pare abbia in animo di varare. E via discorrendo.

Comprensibile che se si appartiene ad uno schieramento politico, si tiri l’acqua alla propria cordata. In sedi internazionale come l’IRRC , tuttavia, gli altri mostrano il punto di vista dei Governi in carica non i risultati (anche ove meritori) da chi è stato mandato all’opposizione dagli elettori. Vecchi colleghi di Banca Mondiale, Fmi, Ocse e Commissione europea non hanno risparmiato battutine di corridoio: ‘Ciascuno a suo modo’ (come Luigi Pirandello intitolò la sua commedia più bella, ma meno rappresentata   -richiede 42 personaggi in scena).

 

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