RIFORMA PENSIONI/ Esodati, la "trattativa" che può far saltare le
larghe intese
Pubblicazione:
venerdì 16 agosto 2013
Enrico Giovannini (Infophoto)
Approfondisci
NEWS LAVORO
Il Parlamento (e il Governo) vanno
in vacanza (per non molto tempo) mentre è in atto un vero e proprio “gioco del
cerino”: per il Pd e il Pdl diventa ogni giorno più difficile dividere lo
stesso letto (anche senza fare l’amore), specialmente dopo la sentenza della
Cassazione e le esternazioni del Giudice Esposito. Né l’uno, né l’altro dei due
partiti “di Governo”, però, vuol iniziare una causa di “separazione per colpa”
che potrebbe costare molto cara (in termini di consenso elettorale), dato che
gli italiani sono un po’ stanchi e stufi di essere chiamati alle urne, per di
più con una legge elettorale che considerano assurda. Non sarà il futuro
politico di Silvio Berlusconi ad attizzare il fuoco. Lo saranno le pensioni
degli italiani. Vediamo perché.
I pur litigiosi vertici del Pd hanno
metabolizzato la prima parte di una massima di Paul Valéry: “L’indignazione
permanente non paga”. Non ne hanno necessariamente metabolizzato la seconda,
spesso ripetuta da intellettuali e leader della sinistra come Macaluso e
Pellicani: “L’indignazione permanente è segno di bassezza morale”. I loro
sondaggisti affermano che anche se al popolo Pd non piace il “Governo di
Servizio guidato da Enrico Letta”, farlo cadere aumentando i decibel
dell’“indignazione permanente” (seguendo il “partito” di Repubblica e de
Il Fatto Quotidiano) comporta rischi elevatissimi.
Le pensioni, invece, sono
tradizionalmente la causa efficiente (anche se spesso solo occasionale) della
fine di Governi e di cicli politici. La riforma del 1968-69, ad esempio, chiuse
il centrosinistra e aprì la fase che sfociò nella “solidarietà nazionale”. La
riforma predisposta da Nino Cristofori (braccio destro di Andreotti e ministro
del Lavoro) fece calare il sipario sul pentapartito. La riforma tentata dal
Governo Berlusconi nel 1994 provocò la morte anticipata dell’esperienza di
centrodestra dopo appena nove mesi al Governo. Si potrebbe continuare: la
“riforma Fornero” (con l’appendice degli “esodati”) rappresenta il crepuscolo
dei Governi tecnici.
Ora un nuovo tentativo di riforma è
nell’aria. Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha annunciato l’apertura
di un “tavolo tecnico” a settembre per porre rimedio ai nodi degli “esodati”.
Al tempo stesso, però, l’ex Presidente del Consiglio, Giuliano Amato, lancia
proposte per un riassetto più vasto nel nome dell’equità previdenziale.
Settimana scorsa i nomi, i cognomi e le foto dei “pensionati d’oro” (o di
“diamante”) erano sui principali giornali.
È verosimile, quindi, che sempre che
il divorzio non avvenga a fine agosto (con accuse vicendevoli di non avere
rispettato i patti in materia di Imu e di Iva), la rottura si verifichi al
tavolo presieduto dal buon Enrico Giovannini,
I mercati lo annusano già. Lo spread
non è aumentato dopo la sentenza della Cassazione, poiché già messa in conto, e
ora anzi scende. I gestori, però, guardano con preoccupazione alle
fibrillazioni settembrine in cui una “vertenza previdenziale” sarebbe la
scintilla che trasformerebbe in incendio tanti fuochi latenti. Il Pd sa che
varie sentenze della Corte Costituzionale hanno annullato norme che prevedono,
sotto celate forme, prelievi ai “pensionati d’oro”. Sa pure che a 18 anni dalla
riforma Dini sono realmente pochi i lavoratori attivi che possono pensare a
trattamenti previdenziali basati sul sistema retributivo. Sa anche infine che
un’addizionale previdenziale su redditi (e pensioni) di alto importo farebbe
aumentare il carico tributario complessivo spegnendo i piccoli e flebili
barlumi di crescita.
Una “rottura” in nome dell’equità
previdenziale potrebbe, però, comportare pingui dividendi elettorali,
specialmente se si organizza la partita cambiando speditamente la legge
elettorale.
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento