TOBIN TAX/
Da Bruxelles un “attentato” a Londra (e all'Italia)
venerdì 15 febbraio 2013
INT.
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NEWS Finanza
Undici contro uno. Una lotta impari, quella condotta dai paesi europei che
hanno accettato la Tobin Tax (Italia, Germania, Francia, Spagna, Belgio,
Austria, Slovenia, Estonia, Slovacchia, Grecia e Portogallo) contro il Regno
Unito. Che, ovviamente, di tassare le proprie transazioni finanziarie, non ne
vuole sapere. Ma un espediente della Commissione europea potrebbe aggirare
l’ostacolo: saranno tassate le transazioni relative agli strumenti finanziari
emessi dalla City negli undici Stati che, in queste ore, stanno vagliando la
proposta di Bruxelles. Giuseppe Pennisi, economista, ci spiega perché il
progetto non sta in piedi.
Cosa ne pensa, anzitutto, della Tobin Tax?
Precisiamo, anzitutto, che venne ripudiata dallo stesso Tobin in un celebre
saggio del ’91 pubblicato dalla Banca Mondiale. Disse che era un rimedio
estremo, da prendersi in condizioni particolarissime e, preferibilmente, da un
solo Stato. All’imposta, inoltre, sono legate suggestioni del tutto immotivate.
Si pensa che contribuisca a calmierare le distorsioni dei mercati,
disincentivando le operazioni spregiudicate quando, in realtà, è un modo
surrettizio per tassare le rendite finanziarie. E per fare cassa.
Non crede che possa contribuire a far diminuire le
transazioni speculative?
No, al contrario. Come è noto, la Tobin sortisce effetti profondamente
distorsivi, invogliando gli investitori a trasferire altrove i flussi di
capitale.
Secondo lei, come si dovrebbe comportare l’Unione
europea?
Nel quadro di un riordino della tassazione, buon senso vorrebbe che il
Consiglio europeo e i ministri delle Finanze europee preparassero un
regolamento sulle rendite finanziarie uniforme per tutti i 27 membri
dell’Unione (o almeno per i 17 dell’Eurozona), e che i Parlamenti nazionali
ratificassero tale regolamento. Oggi, invece, ogni Paese, tra quelli che
applicano la tassazione sulle transazioni finanziarie, ha previsto aliquote,
regole e parametri diversi. Per quanto ci riguarda, l’unico risultato raggiunto
dalla Tobin consiste nell'aver distolto gli investitori stranieri dal venire in
Italia.
Come valuta il progetto europeo di estendere la
tassazione ai titoli di Stato scambiati sui mercati secondari?
Si tratterebbe di pura follia. I singoli paesi ne risulterebbero
danneggiati. In particolare, si produrrebbero serie conseguenze per quelli con
elevati debiti pubblici che si troverebbero, a quel punto, a doverli
finanziarie a tassi ancora più elevati.
Cosa succede, invece, se il progetto di tassare i
titoli emessi da Londra in altri Paesi va in porto?
Anzitutto, la proposta mi pare, a prima vista, contraria a qualsiasi
principio di diritto internazionale. Per tassare le transazioni finanziarie e i
titoli di Londra ci vorrebbe, come minimo, il via libera di Westminster.
Ammesso e non concesso che l’ipotesi europea si concretizzi, la Gran Bretagna
uscirebbe immediatamente dall’Unione europea. Il che, innescherebbe una
pericolosissima reazione a catena.
Ovvero?
Tanto per cominciare, a quel punto l’uscita della Grecia dell’euro
diventerebbe altamente probabile. Altri paesi, inoltre, potrebbero pensare di
seguire l’esempio inglese. Ma la cosa peggiore in assoluto consisterebbe nel
trovarci, all’improvviso, privi del nostro principale mercato finanziario.
Esperimenti quali l’Euroborsa, infatti, rispetto a Wall Street, Tokio, od Hong
Kong, sono del tutto irrisori e non dobbiamo dimenticare che, quando Londra si
prende un “raffreddore”, le altre Piazze si prendono la polmonite.
Bruxelles, forse, non è consapevole di tutto ciò?
Credo di sì. E che si tratti di un semplice annuncio. Volto, in gran parte,
a far contenti i socialdemocratici del Parlamento europeo.
(Paolo Nessi)
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