OPERA/
Verdi e quel recitar cantando di Macbeth in salsa Kabuki al Comunale di Bologna
sabato
2 febbraio 2013
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NEWS Musica
Il
5 febbraio il Teatro Comunale di Bologna apre la stagione lirica con un nuovo
allestimento di Macbeth di Giuseppe Verdi. Al pari di Simon
Boccanegra e Don Carlo, Macbeth è un’opera con cui Verdi convisse
per tutta la vita componendone tre differenti edizioni. E’ anche una delle
opere più “gettonate” nell’anno in cui si celebra il bicentenario della
nascita del compositore. Pochi sanno che i “Macbeth” verdiani sono tre: quello
del 1847 che ebbe la prima al Teatro La Pergola di Firenze; quello del 1865,
fortemente rimaneggiato, per il Théâtre Lyrique di Parigi e aggiornato di nuovo
per La Scala nel 1874. Il primo è di stampo donizettiano; è stato ripreso al
Festival di Spoleto nel 2002 e si vedrà tra qualche mese in un nuovo
allestimento alla Scala. Il secondo in omaggio al gusto francese includeva
lunghi ballalibili. Il terzo rispecchia il cambiamento di stile di Verdi, dopo Aida
ed anticipa Otello. L’edizione del 1874 è raramente citata nelle
stesse storie delle musica e viene messa in scena solo di tanto in tanto: se
ben ricordo, l’ultima volta che è stata vista è circa un lustro fa allo
Sferisterio Festival di Macerata. Esiste una quarta versione , costruita a uso
e consumo di Riccardo Muti: è un mèlange della versione ritmica italiana
della partitura approntata per Parigi (quella ormai conosciuta come ‘edizione
di riferimento’) e la versione scaligera del 1874. E’ stata vista ed ascoltata
a Salisburgo ed a Roma nel 2011; non è, però, diventata – come ci si attendeva
– l’edizione di repertorio a Vienna.
E’
importante sapere cosa si va a vedere ed ascoltare a Bologna. Viene offerta “la
versione di riferimento”, ossia quella del 1865 in traduzione ritmica italiana
e senza ballabili.
Macbeth
è l’opera più sorprendente che Verdi abbia mai scritto da un punto di vista
musicale, canoro e drammaturgico. Purtroppo Verdi però non sviluppò più nelle
opere successive il recitar cantando di Macbethcon le sue
relative indicazioni interpretative ( canto declamato, sotto voce, parlando, a
voce spiegata, a voce aperta) oltre i passaggi di bel canto come l’aria di
Banco e di Macduff. A differenza della edizione 1847 in quella del 1856, i due
protagonisti non hanno una sola nota di bel canto e anche per questo oggi è
difficile mettere in scena quest’opera. Malgrado le tecniche di Wagner, di
Schömberg, del teatro lirico moderno, e malgrado le richieste di Verdi stesso,
quest’opera viene affrontata spesso in modo tradizionale, come se fosse una Traviata.
Nessuna “Lady Macbeth”, nella maggior parte delle edizioni presentate al
pubblico, ha il coraggio di “sporcare la voce”, per citare un termine del
Maestro di Busseto, di cantare con una voce abbruttita, andando così contro la
volontà di Verdi. Il compositore emiliano è del tutto rivoluzionario
nell’affrontare gli abissi più profondi dell’essere umano, usa moltissimo la
cromatica e arriva addirittura a scrivere ppppp in
partitura; è stato il primo a farlo. È inoltre evidente un vitalissimo ritmo
drammaturgico dato dal susseguirsi di numerose scene e la maggior parte di esse
si svolge durante la notte che diventa metafora del lato oscuro del nostro
essere, dell’umanità. Anche questo aspetto può rappresentare una difficoltà in
più per la lettura di Macbeth e per il suo pubblico, ma al
tempo stesso motivo di interesse. In quest’opera emergono tutte le
contraddizioni interiori, la complessa sfera emotiva e i conseguenti
atteggiamenti degli esseri umani. Per esempio “Macbeth” ha un solo motivo per
uccidere Duncano: colmare un profondo senso di vuoto legato alla decadenza e
all’affievolimento frustrante del rapporto erotico con Lady Macbeth. Entrambi i
coniugi cercano dunque, da psicopatici, una compensazione, un nuovo stimolo per
la loro vita e la trovano sia nella corsa al potere sia nel compimento degli
omicidi (da quello di Duncano ai successivi). Lady Macbeth diventa folle, prima
omicida poi suicida e Macbeth cinico assiste alla sua morte.Un altro dei motivi per cui quest’opera è stata spesso sottovalutata è la mancanza di un protagonista tenore allontanandosi così ancora di più dalla tradizione lirica.
Sono però convinto che Macbeth possa essere uno studio raro, interessante e analitico della psicopatia umana.
A Bologna viene presentata un nuovo allestimento con la regia, le scene e la coreografia di Robert Wilson, i costumi di Jacques Reynault, la direzione musicale di Roberto Abbado (interpreti principali: Dario Solari, Tatiana Serjan, Roberto De Biasio, Gabriele Mangione). E’ una lettura che pare ispirarsi al Teatro Kabuki giapponese. Nel giugno 2005, sempre a Bologna, era stata presentato un allestimento di Micha von Hoecke (coprodotto con Trieste e Ravenna) ispirato invece al Teatro No nipponico: Tatiana Serjan era la protagonista. Sarà, come è consueto dei lavori Wilson, statuario e ieratico. Molto differente quindi dalla ripresa di quello Svoboda-Brockhaus (in questi mesi a Genova, Trieste e Jesi) basato su una straordinaria varietà di immagini prende vita da mezzi semplicissimi e tecnica sofisticata: otto teli di maglia plastica, uno specchio trasparente e mutevoli proiezioni.
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