PROPOSTA
SHOCK/ Ecco il "tallone d'Achille" dei tagli di Berlusconi a Imu e
Irap
lunedì 4 febbraio 2013
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NEWS Finanza
La “proposta shock” presentata ieri da Silvio Berlusconi a Milano è, sotto
molti punti di vista, analoga al programma stilato, soprattutto da Antonio
Martino, con cui nel 1994 il Cavaliere sorprese tutti e vinse le elezioni.
Occorre chiedersi se è fattibile e se è realizzabile. I due termini vengono
spesso utilizzati come sinonimi. I puristi della lingua italiana e del lessico
economico intendono, con i due aggettivi, concetti differenti. “Fattibilità”
vuol dire se sotto il profilo tecnico-economico il progetto può essere portato
in porto. “Realizzabilità” se ci sono le condizioni istituzionali, politiche e
sociali per attuarlo.
Il punto centrale, a mio avviso, non è l’abolizione di alcune imposte
(prima tra tutte l’Imu) profondamente odiate dagli italiani e le operazioni di
finanza straordinaria (quali l’accordo con la Repubblica Elvetica) per
utilizzare capitali detenuti (in modo più o meno celato) da italiani
all’estero. Su questi punti e sulla restituzione dell’Imu sulla prima casa
pagata nel 2012 ci sono indubbiamente enfatizzazioni demagogiche collegate alla
campagna elettorale. La chiave è la riduzione di 80 miliardi di euro della
spesa pubblica in cinque anni - ossia di due punti percentuali l’anno.
Curiosamente, anche se negli anni dei Governi Berlusconi la spesa pubblica
è aumentata di circa 150 miliardi, ci sono le condizioni perché tale aspetto
(la trave di volta di tutto l’edificio) sia ora “fattibile” proprio grazie alle
misure messe in atto negli ultimi quindici anni dai Governi che si sono
avvicendati. Sono in gran parte strumenti tecnici, di cui poco si è parlato al
di fuori degli ambienti specialistici. Il più importante è la legge 196/2009,
che trasforma il bilancio “di competenza” in bilancio “di cassa” e le varie
norme da essa derivate: da quelle sulla spending review (ivi comprese
quelle elaborate e approvate ai tempi del Governo Prodi) al Decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri (Dpcm) del 3 agosto scorso (pubblicato in Gazzetta
Ufficiale solo a fine novembre) sulla valutazione degli investimenti pubblici.
Tale Dpcm può essere facilmente esteso alla spesa di parte corrente - come
d’altronde fatto, negli Stati Uniti con l’unica legge che, approvata nel 1982
dalla prima Amministrazione Reagan, non è stata da allora mai modificata in
quanto lo stesso Ministro del Bilancio dell’Amministrazione Obama sostiene che
“funziona perfettamente”.
A questo impianto normativo che consente, se si vuole, di valutare la spesa
e scegliere con oculatezza cosa e come tagliare, corrisponde un lavoro iniziato
vent’anni fa dall’Ispe (Istituto studi per la programmazione economica,
successivamente trasformato in Isae, Istituto studi e analisi economiche e
infine incorporato all’Istat) e trasferito, poi, in varie amministrazioni dello
Stato per la quantizzazione dei costi standard. Per i maggiori settori di spesa
pubblica, dopo vent’anni di lavoro, cifre ormai esistono, spesso con un buon
margine d’errore, ma tali di consentire di arginare i maggiori sprechi.
Tecnicamente, quindi, il progetto appare fattibile.
È molto più difficile dire se e in che misura, la “proposta shock” sia
realizzabile. Richiede, infatti, misure drastiche che si possono applicare
unicamente con una vasta maggioranza parlamentare e una forte credibilità
interna e internazionale. La proposta ha apertamente l’obiettivo di dare agli
italiani quella speranza e quella fiducia che ora sembra a loro mancare. In
molte occasioni, l’Italia ha dato prova di saper trovare la tensione necessaria
a risalire la china se ha obiettivi chiari e condivisi. Vent’anni fa, dopo la
crisi del 1992-93, tali obiettivi chiari e condivisi furono quelli di entrare
nel gruppo di testa dell’unione monetaria.
Senza dubbio, chi ha redatto i punti essenziali della proposta conosce bene
quella che gli economisti chiamano la “neuro-macroeconomia”, ossia l’impatto
dei comportamenti e della psicologia sull’economia. Basta un progetto
tecnicamente fattibile, per ridare agli italiani quella fiducia in Berlusconi
che, a torto o ragione, sembrano avere perso? Quale parte dell’elettorato
indeciso “moderato” si rivolgerà al binomio Pdl-Lega e quanta andrà invece alla
coalizione di centro, al Fare e altre liste? La realizzabilità - si è detto -
necessita di una larga e solida maggioranza in Parlamento.
Andiamo, poi, al piano internazionale. Nel 1994 e ancora nel 2001 e nel
2008 la promessa di una politica di arretramento del perimetro dello Stato in
Italia suscitò varie aspettative all’estero, specialmente in seno all’Unione
monetaria europea. Oggi ha ancora quello smalto? Non sembra proprio se Deutsche
Bank (oggi con un bel poi di guai) è indicata, a torto o a ragione, come il
veicolo di chi avrebbe orchestrato nell’autunno 2011 la manovra di vendita per
fare andare alle stelle lo spread di titoli italiani rispetto a
quelli tedeschi e mandare a casa il Governo guidato da Silvio Berlusconi.
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