Originale e inquietante. È l’Anello palermitano
Tagli alla cultura? Macché, se stessimo a guardare il Teatro Massimo di Palermo. Dove senza alcuna partnership si produce l’intera tetralogia wagneriana del Ring. Ora siamo a metà dell’opera, e si possono tirare alcune somme.
Scritto da Giuseppe Pennisi | mercoledì, 27 febbraio 2013 · Lascia un commentoDue aspetti dell’annuncio sorprendevano: il primo è che il Massimo palermitano (dove un Ring intero non è stato mai prodotto: nel 1970-71 ne venne presentata, nell’arco di due stagioni, una produzione di Ginevra) avrebbe fatto tutto da solo; il secondo è che l’allestimento drammaturgico e scenico sarebbe stato affidato a Graham Vick (regia) e a Richard Hudson (scene e costumi) con l’intento di costruire “uno spettacolo appositamente ispirato e concepito per gli spazi del grande teatro palermitano”. Vick ha al suo attivo già due Ring, uno per il piccolo Teatro di Lisbona, in cui la tetralogia veniva vista, con ironia, come uno spettacolo circense; e un’edizione ridotta (9 ore invece di 15, 19 orchestrali invece di 170) prodotta per Birmingham, con il compianto compositore Jonathan Dove. La si è vista a Reggio Emilia: qui il Ring diventa un drammone di famiglia Anni Cinquanta (tipo Il Lutto Si Addice ad Elettra di Eugene O’Neill).
In primo luogo, Vick non ha seguito la prassi di numerosi registi d’opera, ovvero vendere per nuovo il già-fatto. Questo Ring è totalmente differente dalle due edizioni precedenti da lui firmate. È una tetralogia da teatro greco al contrario, con il dramma satiresco posto all’inizio come prologo (Das Rheingold). A esso è assegnato un carattere da commedia: un mondo di Dei, Giganti, Nani ed elementi primordiali un po’ giuggioloni anche se assetati di potere e di sesso. Una lettura quanto mai insolita per chi usa andare al Massimo di Palermo. La si comprende in Die Walküre, la cui ambientazione ricorda il recente film tedesco Die Kriegerin (La Combattente), opera prima di David Wneendt (lavoro che ha destato molte polemiche, ma non è mai stato distribuito in Italia). Il film tratta, con cruda violenza, dei gruppi neonazisti nei Länder settentrionali della Germania dell’Est.
Come nel film, l’ambiente è cupo (tranne l’ultima scena in un’assolata campagna, che suggerisce la speranza), la violenza è una prassi. Mentre l’orchestra suona l’introduzione, assistiamo allo stupro di gruppo di una giovane sposa. Durante la cavalcata delle Valchirie, un ragazzo, appena entrato nel regno dei morti, viene sodomizzato da un “eroe” adulto. L’ambiente è squallido (il ‘Palazzo’ degli Dei è un malridotto camper accanto a una discarica), le relazioni di coppia sono crude (Sigmundo fa l’amore con Siegliende sul tavolo del tinello-cucina della casa di Hunding, marito della ragazza), tra le Valchirie si adombrano rapporti saffici e tra gli ‘eroi’ defunti in battaglia da esse curate non mancano baci omo.
Così vista, questa tetralogia ha una sua innegabile originalità e coerenza. Ma è anche molto inquietante. Non proprio l’obiettivo del luterano, con venature buddiste, Richard Wagner, che intendeva mostrare il passaggio dalle vecchie divinità germaniche al monoteismo, al centro di gran parte della sua poetica.
Giuseppe Pennisi
www.teatromassimo.it
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