FINANZA E POLITICA/ La "minaccia" Usa per
l'Italia di Renzi
Pubblicazione: lunedì 10 agosto 2015
Janet
Yellen (Infophoto)
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NEWS Economia e
Finanza
Non è certo piacevole avere il ruolo di colui che porta via gli
alcolici quando una festa sta diventando un po’ troppo allegra. Eppure a
qualcuno tocca farlo per evitare che il party diventi rave con
danni per tutti. Non sono un gufo e condivido, in parte, l’ottimismo mostrato
dal Presidente del Consiglio nella conferenza stampa di auguri agli italiani
prima dell’interruzione estiva. In ogni caso, sta a lui infondere fiducia ai
concittadini. Mentre un chroniqueur con qualche conoscenza di economia
ha il compito di fare da coscienza critica e, in particolare, di fare notare i
pericoli, specialmente quelli in agguato.
Quando in
settembre si dovrà scrivere il Documento di economia e finanza (Def, per gli
amici) si dovranno trovare almeno una ventina di miliardi di euro per evitare
di finire, un’alta volta, sotto procedura d’infrazione da parte dell’Unione
europea. Tutti poniamo grandi speranze in ciò che saranno in grado di fare la
Ragioneria generale dello Stato e i dioscuri della spending review (Yoram
Gutgeld e Roberto Perotti).
Tuttavia, c’è
una minaccia che viene dall’altra sponda dell’Atlantico, che potrebbe rendere
il costo molto più alto e di cui pare che nessuno voglia parlare. In breve, non
solamente da che tempo è tempo i Presidenti americani (quale che sia il
partito) amano andare alle urne con un dollaro forte come segnale del buon
stato di salute in cui dopo quattro od otto anni lasciano lo stato dell’Unione,
ma da qualche settimana quell’energica Presidente della Federal Reserve (che
ama mascherarsi da massaia), Janet Yellen, borbotta che i dati interni
sull’economia americana (occupazione, crescita del Pil, aumento dei prezzi
all’ingrosso) possono anticipare un “surriscaldamento”. Quindi, perché non
pensare che il bell’autunno di Washington (vi ho vissuto 18 anni e vi assicuro
che è magnifico) non sia l’occasione per il ritocco all’insù dei tassi
direttori d’interesse? Ciò rafforzerebbe ancora il dollaro, con la gioia
dell’inquilino pro-tempore della Casa Bianca, pur se in fase di imminente
trasloco.
La signora
Yellen, come peraltro i suoi predecessori, danno poca importanza sia agli
aspetti internazionali dell’economia Usa, sia all’ impatto delle misure di
politica monetaria americana sul resto del mondo. Eppure un lavoro fresco di
stampa della Banca dei regolamenti internazionali afferma che tre trilioni (3
mila miliardi) di dollari sono nelle mani di non residenti americani, molto
sensibili ai tassi d’interesse. In parallelo, uno studio del Fondo monetario
internazionale sostiene che a ogni episodio di “dollaro forte” ha fatto seguito
una crisi dei mercati emergenti (perché i flussi di capitale corrono verso il
mercato americano).
In materia, la
Banca centrale europea (sempre che in questi giorni vacanzieri si riesca a
trovare qualcuno nelle Torri di Francoforte) tace. O meglio afferma che chi
vivrà, vedrà. Certamente il servizio studi della Bce ha prodotto simulazioni
quantitative da condividere con le altre banche centrali dell’eurozona e,
perché no, con i Governi alle prese già ora con le politiche di bilancio.
Infatti, un
aumento - non tanto eventuale - dei tassi Usa porrebbe seri problemi
all’Eurozona. Se resta immobile, la fuga di capitale può mettere a rischio quei
sintomi di possibile ripresa che si cominciano ad avvertire, specialmente in
quei paesi che stoltamente stanno progettando una maxi-patrimoniale
(soprattutto sull’edilizia) mascherata da “ritocco tecnico” all’imposta di
successione. E che fine faranno il Quantitative easing e le Outright monetary
transactions?
Non sono
domande ferragostane, ma meritano una risposta. Chi si ferma è
perduto. Ammoniva un vecchio film di Sergio Corbucci con Totò, Aroldo
Tieri, Peppino De Filippo, Albero Lionello e Lia Zoppelli.
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