Ecco le 3 vere questioni della prossima Legge di Stabilità
21 - 08 - 2015Giuseppe Pennisi
Come sempre, nell’ultima settimana
di agosto, spesso ancora prima del rientro del governo dalle vacanze, inizia
(all’interno dell’esecutivo e con l’opposizione), il dibattito sul documento di
economia e finanza e sulla legge di stabilità. Non si svolge soltanto in
Italia, ma a ragione delle regole del “semestre europeo”, si tiene in parallelo
in quasi tutti gli Stati dell’Unione Europea.
Ancora prima del semestre europeo,
l’Italia aveva un calendario simile a quello di altri Stati dell’UE,
specialmente a quello della Francia, che ha un rapporto tra debito pubblico e
Pil inferiore al nostro ma un rapporto tra indebitamento delle pubbliche
amministrazioni e Pil notevolmente superiore al nostro, tanto da essere incorsa
in “procedura d’infrazione” e, quindi, sotto monitoraggio vigile dell’UE.
Interessante notare che mentre
sembriamo essere ai prolegomeni della preparazione della legge, e ministri sono
alle prese con monologhi alterni, l’8 luglio in Francia la Commissione Finanze
e Tesoro ha già definito il calendario dei lavori e i nomi dei relatori. In
Francia, si è anche risolto il nodo centrale: come organizzare e scaglionare
nel tempo la misura più difficile, il prelievo alla fonte dell’imposta sui
redditi delle persone fisiche (invece di ex post, ogni trimestre, in base ad
una documentazione ben definita). La Francia ha anche deciso che, in barba al
Trattato di Maastricht ed al Fiscal Compact, anche nel 2016 sforerà i parametri
concordati a livello comunitario.
Per l’Italia, la situazione si
presenta differente da quella nei nostri cugini d’Oltralpe. E’ importante
individuare il nocciolo della questione dalla marea di dichiarazioni di questi
ultimi giorni. In breve:
- Nonostante le dichiarazioni
ottimistiche del ministro dell’Economia e delle Finanze (il quale ha comunque
il compito di tenere alto il morale della truppa), il debito pubblico minaccia
di diventare sempre di più il problema cruciale del Paese. Principalmente a
ragione di una crescita economica molto bassa e fortemente inferiore alle
previsioni del governo, il rapporto tra debito e Pil è in continuo aumento. Ciò
frena la crescita. Anche se oltre la metà è in mano a istituzioni e famiglie
italiane, potrebbero avvertirne il rischio e destinare altrove i loro risparmi
(specialmente alla luce di una minacciata stangata sulle successioni). Ove ciò
non bastasse, dall’autunno i tassi d’interesse Usa potrebbero aumentare.
Aggravando il servizio del debito dell’Italia. E rendendo più difficile
qualsiasi flessibilità.
- Da ormai quindici anni,
l’investimento pubblico è a livelli rasoterra. Ciò ha implicazione di breve
periodo sull’occupazione dei fattori di produzione e sulla maggiore
utilizzazione della capacità produttiva, ma soprattutto di medio e lungo
periodo sulla produttività. Il livello ormai inesistente o quasi della
creazione di nuovo capitale sociale è ormai un’ipoteca molto grave sulle
generazione future. Più grave di quella delle così dette “pensioni d’oro”.
- Nonostante il succedersi di
spending review da parte di commissari che sembrano entrare ed uscire dalla
“comune” (come si diceva in gergo teatrale) al pari di quanto avveniva nelle
commedie degli Anni Trenta, la spesa di parte corrente continua a crescere.
Questi tre temi devono essere posti
al centro del dibattito. La strada è certamente impervia ma sarà inconcludente
se non si riduce il debito pubblico (non mancano le proposte; il Cnel ne ha raffrontate
una dozzina), se non si rilancia la spesa pubblica in conto capitale (facendo
buon uso delle risorse del Piano Juncker e della partnership con i privati,
anche stranieri) e se non si taglia in modo rigoroso la spesa pubblica di parte
corrente.
Nessun commento:
Posta un commento