I giochetti in Borsa dei cinesi e i risparmiucci di
Paul Krugman
26
- 08 - 2015Giuseppe Pennisi
Su Project Syndicate (un’agenzia di
editorialisti che fornisce analisi e commenti ad un centinaio di testate sparse
nei cinque continenti), il Premio Nobel Paul Krugman ha presentato il 25
agosto la sua visione delle tensioni sui mercati finanziari internazionali. Ha
avuto eco in Italia perché Krugman scrive in modo efficace e ha il merito di
avere dato di nuovo lustro accademico alla geografia economica anche se è
difficile vedere quali siano stati sino ad ora i suoi contributi alla teoria.
In breve, alle origini del problema ci
sarebbe da lustri un savings glut nell’economia mondiale. Saving glut vuol dire
eccesso di risparmio rispetto alla domanda di consumi e alle opportunità di
investimenti. Al pari de Una Festa Mobile di Ernest Hemingway, tale glut
sarebbe in moto perpetuo: iniziato negli Usa con i mutui subprime e le
conseguenze che sappiamo, sarebbe sbarcato in Europa mettendo a soqquadro
l’unione monetaria (peraltro ancora in fasce) aggravando i nodi del debito
sovrano e ora avrebbe trovato terreno fertile in Asia dove la Cina è alle prese
con guai finanziari, economici e sociali.
Di risparmi, Krugman se ne intende. Pare
che a Princeton insegni poche ore la settimana (di solito due, a volte quattro)
e dedica gran parte del proprio tempo a consulenze a istituzioni finanziarie e
Governi ed ai due editoriali la settimana per Project Syndicate. Ha la
reputazione di essere piuttosto sparagnino. Da quando ha, di fatto, abbandonato
la geografia economica – si considerava erede di François Perroux – ed ha
tardivamente abbracciato l’approccio neo-keynesiano al tramonto, ha anche
lasciato un po’ da parte i metodi quantitativi (anima e midollo di Perroux, precursore,
tra l’altro, delle matrici di contabilità sociale). A Krugman i risparmi non
fatto difetto.
In effetti, la sua ipotesi di saving glut
non è supportata, nel suo articolo, da nessuna cifra. E’ smentita dalle tabelle
della Banca Mondiale. Nel periodo 2010-2014, c’è stata una riduzione del tasso
di risparmio rispetto al Pil in quasi tutti i Paesi. Il tasso di risparmio è
aumentato in una manciata di Paesi dove si è verificato un boom dei corsi delle
materie prime (nel 2012-14) o dove i livelli erano oltremodo bassi, ove non
negativi (Antigua, Armenia, Belize, Bhutan, Bosnia, Cambogia, Congo, El
Salvador, Ghana, Grecia, Haiti, Giamaica, Tunisia, Turchia, Ucraina- per citare
i principali). Gli fa eco Forbes (con dati, però, al 2013): i quindici Paesi
con il tasso di risparmio più elevato sono tutti produttori ed esportatori di
materie prime, con l’eccezione della Cina il cui tasso di risparmio è stimato
attorno al 50% del Pil (le statistiche cinesi, al pari di quelle greche, vanno
prese con la pinza).
Occorre pensare (Krugman lo sa ma non o
scrive) che investire in Borsa è diventato in Cina il passatempo preferito di
una classe media emergente che guarda al breve periodo e ha una formazione
limitata; per molte famiglie la Borsa ha preso il posto del gioco d’azzardo,
grande passione dei cinesi ma clandestino dal tempo della rivoluzione
comunista. Chi è entrato pochi mesi fa con l’ottica di guadagni in poche
settimane ci ha rimesso le penne, ma chi ha investito da almeno sei mesi ha
mediamente ottenuto una plusvalenza e – se non è preso dal panico (e non vende)
– può contare su capital gain (guadagni) più che decenti. Nel retroterra di
questi ultimi ribassi sui listini cinesi, c’è, in ogni caso, il rallentamento
economico in atto: dieci anni fa la Cina cresceva al 10-12% l’anno, ora al 7%.
La Cina ha dimensioni tali che se starnuta, il resto del mondo rischia la
polmonite.
Dove Krugman ha un punto valido è che le
banche centrali non hanno mai fatto mancare liquidità al sistema e che i
risparmiatori non sanno dove e come investire. Ma in questo campo, entra in
gioco la ‘neuro-economia’ (la disciplina che collega l’economia con la
psicologia), mai apprezzata da Krugman. Dopo la sbornia della new economy del
1995-2007, e dopo le successive crisi, gli investitori sono diventati molto
prudenti. Non allestiscono piani d’investimento a lungo termine, neanche in
quelle infrastrutture del cui ammodernamento Europa e Nord America (non solo
Asia ed Africa) hanno disperatamente bisogno. I comportamenti di alcuni Governi
non offrono un contributo positivo.
Nessun commento:
Posta un commento