domenica 22 dicembre 2013

Unione bancaria, le luci (e le ombre) di un accordo sofferto in Avvenire 22 dicembre



Unione bancaria, le luci (e le ombre) di un accordo sofferto


GIUSEPPE PENNISI
A
lla fine delle lunghe, e nebbiose, notti di Bruxel­les qualche volta sorge il sole. Se ne è visto un bar­lume la mattina del 19 dicembre quando si è riu­sciti a trovare un’intesa sull’Unione bancaria europea notevolmente migliorativa rispetto al compromesso at­teso alla vigilia. Un compromesso a cui il ministro del­l’Economia dell’Italia, Fabrizio Saccomanni, unitamente a quelli di altri Stati dell’Eurozona, si era correttamente opposto. Saccomanni, però, avrebbe dovuto fare atten­zione prima di definire «storica» l’intesa raggiunta. E non solo per scaramanzia. Nel dicembre 1971 venne de­finito 'storico' l’accordo monetario conosciuto come Smithsonian Agreement, che durò pochi mesi e, unita­mente all’aumento dei prezzi del petrolio deciso dall’O­pec, fu una delle due determinanti del vero e proprio pa­nico sui mercati finanziari del febbraio-marzo 1973. In quegli anni eravamo ambedue a Washington ed abbia­mo potuto toccare con mano quanto labili possano esse­re le intese su monete e banche. La riclassificazione ver­so il basso dei valori dei titoli di Stato dell’Unione Euro­pea da parte di Standard & Poor il 20 dicembre è un pre­sagio inquietante. Così come lo è il durissimo attacco al­l’accordo lanciato, sulle colonne del Financial Times, da Lorenzo Bini Smaghi, sino a non molto tempo fa com­ponente dell’Esecutivo della Banca centrale europea. Dal­lo stesso Parlamento Europeo sono emerse perplessità.

Tuttavia, accantonando sia gli entusiasmi sia le critiche di parte, da oggi le prospettive di un’Unione bancaria europea appaiono più concrete per due ragioni. In pri­mo luogo, la decisione che i depositi in conto corrente sia­no protetti sino a 100.000 euro. Avremmo preferito una garanzia «europea», non tante garanzie «nazionali» quanti sono (o meglio saranno) gli Stati dell’Unione ban­caria. Spesso, però, il meglio è nemico del bene. Un lavo­ro, ancora inedito, di Jeffrey Gordon (Columbia Univer­sity) e Wolf-Gergo Ringe (Copenhagen Business School), un economista ed un giurista distinti e distanti dal ne­goziato, ammonisce che senza neanche un’armonizza­zione delle garanzie sui depositi, l’Eurozona sarebbe sta­ta a rischio di implosione. In secondo luogo, la rete di sicurezza (a carico delle ban­che e non dei contribuenti) per la costituzione del Fon­do di risoluzione (da attivare in caso di crisi che com­portino il fallimento di istituti, tali da avere ripercussio­ni europee) è un mattone importante di un edificio che si sta iniziando a costruire, soprattutto in quanto inse­rito in un’architettura decisionale più semplice. L’archi­tettura decisionale porterebbe – si auspica – a decisioni sul futuro di una grande banca in difficoltà nel corso di un fine settimana. Il percorso di dieci anni per costitui­re il fondo deve, però, apparire credibile non ai ministri, ed ai barracuda-esperti che li accompagnano, ma ai mi­lioni di operatori che comprano e vendono valute sui mercati. È un problema di 'neuro finanza', come ci ri­cordano Armano Freitas da Rocha, João Paulo Vieito e Fabio Rocha del Rani (il principale centro europeo di ri­cerca su intelligenze artificiali). Ciascuno Stato coinvol­to (e ciascun grande istituto bancario) dovrà tenere a mente che i loro comportamenti sono sotto osservazio­ne di un 'grandissimo fratello', fatto di milioni di ope­ratori e ricordarsi che, nell’estate 1992, la 'neuro finan­za' minacciò di fare saltare l’allora progetto di unione. S&P ha lanciato un avviso da non sottovalutare.


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