Unione
bancaria, le luci (e le ombre) di un accordo sofferto
GIUSEPPE PENNISI
Alla fine delle lunghe, e nebbiose, notti di Bruxelles qualche volta sorge il sole. Se ne è visto un barlume la mattina del 19 dicembre quando si è riusciti a trovare un’intesa sull’Unione bancaria europea notevolmente migliorativa rispetto al compromesso atteso alla vigilia. Un compromesso a cui il ministro dell’Economia dell’Italia, Fabrizio Saccomanni, unitamente a quelli di altri Stati dell’Eurozona, si era correttamente opposto. Saccomanni, però, avrebbe dovuto fare attenzione prima di definire «storica» l’intesa raggiunta. E non solo per scaramanzia. Nel dicembre 1971 venne definito 'storico' l’accordo monetario conosciuto come Smithsonian Agreement, che durò pochi mesi e, unitamente all’aumento dei prezzi del petrolio deciso dall’Opec, fu una delle due determinanti del vero e proprio panico sui mercati finanziari del febbraio-marzo 1973. In quegli anni eravamo ambedue a Washington ed abbiamo potuto toccare con mano quanto labili possano essere le intese su monete e banche. La riclassificazione verso il basso dei valori dei titoli di Stato dell’Unione Europea da parte di Standard & Poor il 20 dicembre è un presagio inquietante. Così come lo è il durissimo attacco all’accordo lanciato, sulle colonne del Financial Times, da Lorenzo Bini Smaghi, sino a non molto tempo fa componente dell’Esecutivo della Banca centrale europea. Dallo stesso Parlamento Europeo sono emerse perplessità.
Tuttavia, accantonando sia gli entusiasmi sia le critiche di parte, da oggi le prospettive di un’Unione bancaria europea appaiono più concrete per due ragioni. In primo luogo, la decisione che i depositi in conto corrente siano protetti sino a 100.000 euro. Avremmo preferito una garanzia «europea», non tante garanzie «nazionali» quanti sono (o meglio saranno) gli Stati dell’Unione bancaria. Spesso, però, il meglio è nemico del bene. Un lavoro, ancora inedito, di Jeffrey Gordon (Columbia University) e Wolf-Gergo Ringe (Copenhagen Business School), un economista ed un giurista distinti e distanti dal negoziato, ammonisce che senza neanche un’armonizzazione delle garanzie sui depositi, l’Eurozona sarebbe stata a rischio di implosione. In secondo luogo, la rete di sicurezza (a carico delle banche e non dei contribuenti) per la costituzione del Fondo di risoluzione (da attivare in caso di crisi che comportino il fallimento di istituti, tali da avere ripercussioni europee) è un mattone importante di un edificio che si sta iniziando a costruire, soprattutto in quanto inserito in un’architettura decisionale più semplice. L’architettura decisionale porterebbe – si auspica – a decisioni sul futuro di una grande banca in difficoltà nel corso di un fine settimana. Il percorso di dieci anni per costituire il fondo deve, però, apparire credibile non ai ministri, ed ai barracuda-esperti che li accompagnano, ma ai milioni di operatori che comprano e vendono valute sui mercati. È un problema di 'neuro finanza', come ci ricordano Armano Freitas da Rocha, João Paulo Vieito e Fabio Rocha del Rani (il principale centro europeo di ricerca su intelligenze artificiali). Ciascuno Stato coinvolto (e ciascun grande istituto bancario) dovrà tenere a mente che i loro comportamenti sono sotto osservazione di un 'grandissimo fratello', fatto di milioni di operatori e ricordarsi che, nell’estate 1992, la 'neuro finanza' minacciò di fare saltare l’allora progetto di unione. S&P ha lanciato un avviso da non sottovalutare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Nessun commento:
Posta un commento