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Banche e immigrazione: il mistero della "vittoria" italiana
Pubblicazione: lunedì 23 dicembre 2013
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NEWS Economia e Finanza
Le cronache di questi giorni sono state dense di
vicende europee, in particolare della trattativa sull’unione bancaria, ma cosa
direbbe un chroniqueur a una casalinga di Vigevano il cui marito ha appena
perso il lavoro (poiché l’azienda ha una montagna di crediti con una pubblica
amministrazione tardiva nei pagamenti) e che, letti tanti titoli e tanti
articoli, gli chiedesse: cosa abbiamo portato a casa che possa contribuire
ad alleviare, se non a risolvere, i problemi degli italiani?
Il Consiglio europeo aveva quattro temi all’ordine del
giorno: a) la difesa comune; b) l’unione bancaria (che non dovrebbe riguardare
solamente l’eurozona); c) il compact per la crescita e l’occupazione; c)
l’immigrazione. L’Italia aveva obiettivi molto chiari in materia
d’immigrazione: mutualizzare l’impegno comune europeo nel sorreggere un
fardello ora sulle spalle principalmente di Lampedusa. L’industria militare
italiana era interessata alla difesa comune. Nessuno pare desse molta
importanza a un compact su crescita e occupazione ancora ai prolegomeni
e privo di programmi e misure effettive. In materia di unione bancaria, le idee
parevano non coincidere anche in seno all’esecutivo, ma tutti sembravano
concordare nell’esigenza di mutualizzare almeno parte dei costi dei fallimenti
di istituti tali da avere ripercussioni europee come primo passo verso una
graduale mutualizzazione del debito pubblico.
Andiamo con ordine sulla base dei documenti non delle
(eccessive) chiacchiere di questi giorni. In materie di difesa - il comunicato è chiaro -
l’industria europea (tra cui la nostra) ha ottenuto quel che voleva: 10 delle
25 pagine del comunicato sono dedicate, con grande dettaglio, al tema. In tema
di compact per la crescita e l’occupazione, non c’erano grande attese:
il comunicato contiene 5 pagine di giaculatorie in cui si rimanda tutto al
semestre luglio-dicembre 2014 (quando l’Italia presiederà l’augusto consesso).
In materia di immigrazione (2 pagine del documento) non si è fatto un bel
nulla: si è solamente complimentata la Commissione europea per i suoi bei
documenti e per le trentotto (38) proposte presentate nel rapporto più recente
sul tema. Non si sa se l’Italia (avviluppata nei problemi dell’unione bancaria)
abbia sbattuto il pugno sul tavolo (o le scarpe come faceva Krusciov alle
Nazione Unite) o si sia limitata a sorrisetti di cortesia. La massaia di
Vigevano vuole saperlo; mi auguro che alla conferenza stampa di fine anno il
presidente del Consiglio riveli i retroscena di questo “mistero doloroso”.
n materia di unione bancaria, si è giunti a un accordo
che il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha definito “storico”, per
essere, però, prontamente smentito da autorevoli esponenti del Parlamento
europeo e - ciò che più conta - da Standard & Poor’s. All’inizio degli anni
Settanta, sia io che Saccomani eravamo a Washington, giovani funzionari
rispettivamente della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale. Ci
incontravamo sia nel piccolo gruppo di italiani residente nella capitale degli
Usa, sia, sempre, alla Opera House del Kennedy Center (siamo ambedue melofili
incalliti sin da giovanissima età).
Saccomanni avrebbe dovuto ricordarsi che nel dicembre
1971 un Capo di Stato e Segretario al Tesoro definirono “storico” l’accordo
monetario conosciuto come Smithsonian Agreement che durò pochi
mesi e, unitamente all’aumento dei prezzi del petrolio deciso dall’Opec, fu una
delle due determinanti del vero e proprio panico sui mercati finanziari del
febbraio-marzo 1973. Mi auguro che non avvenga nulla di analogo. Si è deciso
che i depositi in conto corrente sono protetti sino a 100.000 euro.
L’Italia aveva richiesto una garanzia “europea”, non
tante garanzie “nazionali” quanti sono (o meglio saranno) gli Stati dell’unione
bancaria. Ma non l’ha ottenuta. Ha avuto qualcosa in materia di rete di sicurezza
(a carico delle banche, non dei contribuenti) durante i dieci anni di periodo
transitorio per la costituzione del “fondo di risoluzione” (da attivare in caso
di crisi che comportino il fallimento di istituti tali da avere ripercussioni
europee). È un mattone importante di un edificio che si iniziando a costruire,
soprattutto in quanto inserito in un’architettura decisionale più semplice di
quella predisposta nel “compromesso” esaminato il
16-17 dicembre. L’architettura decisionale porterebbe - si auspica- a decisioni
sul futuro di una grande banca in difficoltà nel corso di un fine settimana.
Il percorso di dieci anni per costituire il fondo
deve, però, apparire credibile non ai ministri e ai barracuda-esperti che li
accompagnano, ma ai milioni di operatori che comprano e vendono valute sui
mercati. Meglio non farsi illusioni.
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