La lezione
di Gatti Casazza
Scritto da Giuseppe
Pennisi il 15 dicembre 2013 in News
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Raccolti in un volume la vita, il
pensiero e i carteggi dell’impresario teatrale vissuto tra Ottocento e
Novecento e le sue opinioni sui modelli d’azienda possibili per i teatri
d’opera. Spunti per riflessioni attualissime
di Giuseppe Pennisi
IN QUESTI
GIORNI i manager dei teatri d’opera, in particolare quelli responsabili delle
fondazione liriche, devono decidere se accedere al fondo di 75 milioni di euro
creato con la Legge n. 112/2013 di conversione del Decreto Legge n. 91/2013
recante “disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio
dei beni e delle attività culturali e del turismo”, pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n.236 dell’8 ottobre scorso. Questo incipit un po’
burocratico è necessario per ricordare che per accedere al fondo sarà
necessario presentare entro 90 giorni un piano industriale di risanamento,
ridurre fino al 50% il personale tecnico amministrativo e interrompere i
contratti integrativi. Si tratta, quindi, di una decisione non facile: chi ha
un alto debito o seri problemi di liquidità, ove non di solvibilità, trova nel
fondo (e nel programma di risanamento che esso comporta) una via d’uscita dalle
prospettive di una liquidazione coatta della fondazione o della sua trasformazione
in ‘teatro di tradizione’. Nel contempo, però, avrà inevitabilmente uno scontro
con i sindacati a ragione del dimezzamento del personale tecnico amministrativo
e della riduzione dei compensi (poiché in alcuni casi la contrattazione
integrativa comporta retribuzioni equivalenti al 30-40% della busta paga).
Saranno
scelte che ciascun Consiglio d’Indirizzo assumerà sulla base delle proprie
valutazione; per le fondazioni commissariate (o in procinto di diventarlo) le
scelte sono, in gran misura, determinate poiché senza l’accesso al fondo ed al
risanamento, liquidazione e/o declassamento sembrano inevitabili. Dallo schema
complessivo (finanziamenti aggiuntivi, programma di riassetto) dovrebbe uscire,
nell’arco di tre anni, un settore finanziariamente più sano dell’attuale.
Proprio in questi giorni esce un
volume (Alberto Triola Giulio Gatti Casazza – Una Vita per l’Opera- Dalla
Scala al Metropolitan, il primo manager dell’Opera-Zecchini Editore € 33) ,
che dovrebbe essere letto con proficuo da tutti coloro che hanno responsabilità
gestionali in teatri d’opera. Il volume (530 pagine) racchiude essenzialmente,
dopo una prefazione dell’attuale Direttore Generale del Metropolitan Opera
House (Met), tre testi differenti: un saggio di Alberto Triola sul ruolo di
Gatti Casazza per individuare ed attuare per i teatri d’opera un modello
funzionante di azienda privata non profit; la prima, in effetti, l’unica,
traduzione in italiano dell’autobiografia scritta da Gatti Casazza quando
decise di andare ‘in quiescenza’, tornando nella sua Ferrara dove appena
ventunenne aveva gestito, con successo, il Teatro Comunale (prima di approdare
alla Scala e da lì al Met); infine due appendici, a cura di Stefania Laura
Ferrari con importanti documenti contrattuali e carteggi, nonché con la
cronologia delle opere e balletti messe in scena, durante la gestione Gatti
Casazza, a Ferrara, alla Scala ed al Met.
Il volume è
un contributo importante alla storia della programmazione musicale, dell’opera
e del balletto, perché consente di ricostruire attraverso l’attività dei tre
enti gestiti da Gatti Casazza (Comunale di Ferrara, 1894-98, La Scala
1899-1908, Met 1908-35) l’evoluzione del teatro musicale dall’ultimo scorcio
dell’Ottocento agli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto
mondiale. Illumina il lettore non solo sullo sviluppo di stili ed approcci e
sulle misure da adottare per tenere alta la qualità ed i conti in equilibrio ma
anche sul complesso rapporto di stretta collaborazione per diversi decenni (ma
priva di vera amicizia) tra Giulio Gatti Casazza e Arturo Toscanini.
Particolarmente importanti le pagine relative al ‘metodo Gatti Casazza’ per
rinnovare il pubblico in un periodo in cui la ‘settimana arte’, il cinema,
stava portando via spettatori allo spettacolo dal vivo (musica, balletto e
prosa).
Studiando le
foglie di un albero si comprendono meglio i contorni e le caratteristiche di un
bosco. Oltre all’apporto alla storia della musica (il volume merita di essere
adottato in corsi monografici nei conservatori e nelle università), il lavoro
pone un interrogativo di fondo al travagliato mondo musicale italiano. La
concezione di Gatti Casazza di un teatro d’opera come azienda privata non
profit è ancora caratteristica del Nord America, in gran misura della Gran
Bretagna nonché di molte parti dell’Asia (principalmente della Cina), mentre in
Europa continentale domina il modello dell’ente pubblico o semi-pubblico. Nei
Paesi dell’Europa centrale ed orientale ed in quelli nordici, il pubblico ha
una forte cultura musicale, i teatri hanno alti livelli di produzione (oltre
200 alzate di sipario l’anno), si basano su compagnie stabili ed un forte
repertorio (a cui vengono aggiunte alcune nuove produzioni ogni anno), tengono
contenuti i costi unitario. Le aziende non profit di teatro in musica in
America sono innovative (si pensi alle dirette HD dal Met in circa 2000 sale) e
nel 2010-11 hanno presentato venti prime esecuzioni mondiali di opere –
alcune di compositori italiani e di ambiente italiano. È arduo pensare
che nelle attuali condizioni di finanza pubblica, e di cultura musicale,
trovino supporto proposte per andare verso il modello tedesco, orientale e
nordico dove i contribuenti sono disposto a destinare parte importante delle
loro imposte e tasse a teatri, il cui pubblico è in continuo rinnovamento
generazionale. A questo interrogativo di fondo sul modello a cui mirare
per il teatro in musica italiano deve rispondere la politica. Però saranno
importanti le risposte implicite che daranno i manager dei teatri in vista
della scadenza dell’8 gennaio 2014. Ed il pensiero di Gatti Casazza può essere
un contributo alle loro riflessioni.
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