lunedì 2 dicembre 2013

LA POSSIBILE SVOLTA DEL METODO ‘LA FENICE’ in Formiche mensile dicembre



LA POSSIBILE SVOLTA DEL METODO ‘LA FENICE’
Beckmesser
Scadono in questo giorni i termini perché i teatri possano dichiarare ‘lo stato di crisi’ ed avere accesso al credito agevolato ed agli ammortizzatori sociali previsti dalla ‘Legge Bray’ , dal nome del  Ministro in carica per i Beni e le Attività Culturali. Molte fondazioni liriche lo faranno, principalmente per ridurre le piante organiche e riassestare. Non lo farà La Fenice che ha inaugurato la stagione il 23 novembre con un ‘grand opéra’  non  rappresentato in Italia da anni, L’Africaine di Giacomo Meyerbeer in occasione del centocinquantesimo compleanno dalla morte del compositore. Dello spettacolo abbiamo parlato in altra sede.
In questa rubrica in cui si tratta di tematiche generali non di eventi puntiformi, pare utile sottolineare come la fondazione veneziana, considerata, una diecina di anni fa, poco più di un teatro di provincia sia diventata in pochi anni l’organizzazione di teatro lirico, balletti e concerti in testa alla classifiche internazionali.
I numeri parlano chiaro. Nonostante la riduzione dei contributi pubblici complessivi (Stato, Regione, Comune), ora  circa 17 milioni di euro (a livello, ad esempio, del Comunale di Bologna) nel 2012 (ultimo anno per il quale si dispone di un consuntivo, ha prodotto 280 alzate di sipario (118 per lirica, 5 per balletti, 29 per sinfonica), dei 15 spettacoli di lirica otto sono stati nuovi allestimenti (di cui tre co-produzioni ); la metà dei titoli sono state riprese organizzate in serie per autore (Mozart- Da Ponte , Puccini , Verdi) . Il contributo pubblico è stato integrato , oltre che dalla biglietteria e dalla vendita di spettacoli, da 3.5 milioni di elargizioni di privati. Molto attive tre associazioni di ‘amici de La Fenice’ operanti in Germania ed in Giappone (i cui soci hanno, tra l’altro, accesso prioritario al concerto di Capo d’Anno.  Da tre anni, il bilancio consuntivo chiude in pareggio od in attivo. I due teatri (La Fenice ed il Malibran) sono sempre pieni; viene incoraggiato il ricambio del pubblico presentando ogni anno almeno un’opera contemporanea e promuovendo la partecipazione dei giovani anche coinvolgendo docenti e studenti dell’Istituto Universitario di Architettura e di Urbanistica di Venezia (IUAV) negli allestimenti.
Il ‘metodo La Fenice’ altro che l’adozione del ‘semi-repertorio’ (in gergo del settore),  tipico di teatri come il Covent Garden, l’Opéra e il Metropolitan, mentre i teatri d’area germanica e dell’Europa centrale e orientale seguono il sistema del ‘repertorio’ : compagnie stabili (integrate da “artisti ospiti”). Tanto del ‘semi-repertorio’ quanto nel ‘repertorio’gli allestimenti pensati per essere rappresentati almeno una decina di anni. Nel ‘semirepertori’ non si ha una compagnia fissa , ma si programma su un arco pluriennale ottenendo dagli artisti ‘scritture’  a cachet più convenienti per tutti (per il teatro che paga meno per il costo unitario della prestazione e per l’artista che può contare su un impegno a lunga scadenza)
 In Italia, per ragioni storiche, non si è mai avuto un vero sistema di repertorio. I teatri erano di proprietà reale/ducale o condominio di palchettisti. Né i Re/Duchi, né i condomini li gestivano in proprio ma, tramite un sistema di concessioni, li affidavano a professionisti (gli impresari) per definire stagioni spesso legate agli eventi della Chiesa Cattolica (Natale, Carnevale) e quindi soggette a regole precise (ai dettami della Quaresima). Una legge del 1936 impose una forma di semi-repertorio per i maggiori enti lirici comunali dell’epoca. Tutti dovevano rappresentare una prima mondiale di un lavoro italiano ogni anno, dieci erano destinati al repertorio, due avevano obiettivi “dedicati” (Venezia il teatro in musica contemporaneo, Firenze le riscoperte del passato). Nel dopoguerra, la “legge Corona” tentò di porre ordine in una situazione diventata caotica (ogni cartellone si proponeva come un festival e i debiti aumentavano pesando per lo più sulle casse comunali). Successivamente la “legge Veltroni” li trasformò in fondazioni private: disavanzi, debiti e prassi festivaliere aumentarono. È presto per dirlo, ma il “metodo  La Fenice”  segna una svolta.

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