LA POSSIBILE SVOLTA DEL METODO
‘LA FENICE’
Beckmesser
Scadono in questo
giorni i termini perché i teatri possano dichiarare ‘lo stato di crisi’ ed
avere accesso al credito agevolato ed agli ammortizzatori sociali previsti
dalla ‘Legge Bray’ , dal nome del
Ministro in carica per i Beni e le Attività Culturali. Molte fondazioni liriche
lo faranno, principalmente per ridurre le piante organiche e riassestare. Non
lo farà La Fenice che ha inaugurato la stagione il 23 novembre con un ‘grand
opéra’ non rappresentato in Italia da anni, L’Africaine di Giacomo Meyerbeer in
occasione del centocinquantesimo compleanno dalla morte del compositore. Dello
spettacolo abbiamo parlato in altra sede.
In questa rubrica
in cui si tratta di tematiche generali non di eventi puntiformi, pare utile
sottolineare come la fondazione veneziana, considerata, una diecina di anni fa,
poco più di un teatro di provincia sia diventata in pochi anni l’organizzazione
di teatro lirico, balletti e concerti in testa alla classifiche internazionali.
I numeri parlano
chiaro. Nonostante la riduzione dei contributi pubblici complessivi (Stato,
Regione, Comune), ora circa 17 milioni
di euro (a livello, ad esempio, del Comunale di Bologna) nel 2012 (ultimo anno
per il quale si dispone di un consuntivo, ha prodotto 280 alzate di sipario
(118 per lirica, 5 per balletti, 29 per sinfonica), dei 15 spettacoli di lirica
otto sono stati nuovi allestimenti (di cui tre co-produzioni ); la metà dei
titoli sono state riprese organizzate in serie per autore (Mozart- Da Ponte ,
Puccini , Verdi) . Il contributo pubblico è stato integrato , oltre che dalla
biglietteria e dalla vendita di spettacoli, da 3.5 milioni di elargizioni di
privati. Molto attive tre associazioni di ‘amici de La Fenice’ operanti in
Germania ed in Giappone (i cui soci hanno, tra l’altro, accesso prioritario al
concerto di Capo d’Anno. Da tre anni, il
bilancio consuntivo chiude in pareggio od in attivo. I due teatri (La Fenice ed
il Malibran) sono sempre pieni; viene incoraggiato il ricambio del pubblico
presentando ogni anno almeno un’opera contemporanea e promuovendo la
partecipazione dei giovani anche coinvolgendo docenti e studenti dell’Istituto
Universitario di Architettura e di Urbanistica di Venezia (IUAV) negli allestimenti.
Il ‘metodo La
Fenice’ altro che l’adozione del ‘semi-repertorio’ (in gergo del settore), tipico di teatri come il Covent Garden,
l’Opéra e il Metropolitan, mentre i teatri d’area germanica e dell’Europa
centrale e orientale seguono il sistema del ‘repertorio’ : compagnie stabili
(integrate da “artisti ospiti”). Tanto del ‘semi-repertorio’ quanto nel
‘repertorio’gli allestimenti pensati per essere rappresentati almeno una decina
di anni. Nel ‘semirepertori’ non si ha una compagnia fissa , ma si programma su
un arco pluriennale ottenendo dagli artisti ‘scritture’ a cachet
più convenienti per tutti (per il teatro che paga meno per il costo
unitario della prestazione e per l’artista che può contare su un impegno a
lunga scadenza)
In Italia, per ragioni storiche, non si è mai
avuto un vero sistema di repertorio. I teatri erano di proprietà reale/ducale o
condominio di palchettisti. Né i Re/Duchi, né i condomini li gestivano in
proprio ma, tramite un sistema di concessioni, li affidavano a professionisti
(gli impresari) per definire stagioni spesso legate agli eventi della Chiesa
Cattolica (Natale, Carnevale) e quindi soggette a regole precise (ai dettami
della Quaresima). Una legge del 1936 impose una forma di semi-repertorio per i
maggiori enti lirici comunali dell’epoca. Tutti dovevano rappresentare una
prima mondiale di un lavoro italiano ogni anno, dieci erano destinati al
repertorio, due avevano obiettivi “dedicati” (Venezia il teatro in musica
contemporaneo, Firenze le riscoperte del passato). Nel dopoguerra, la “legge
Corona” tentò di porre ordine in una situazione diventata caotica (ogni
cartellone si proponeva come un festival e i debiti aumentavano pesando per lo
più sulle casse comunali). Successivamente la “legge Veltroni” li trasformò in
fondazioni private: disavanzi, debiti e prassi festivaliere aumentarono. È
presto per dirlo, ma il “metodo La
Fenice” segna una svolta.
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