RIFORMA
PENSIONI/ La battaglia che la Cgil ha sepolto nel silenzio
Pubblicazione: lunedì 9 dicembre 2013
Susanna Camusso (Infophoto)
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La Camera dei Deputati sta per cominciare a esaminare
il testo della Legge di stabilità quale approvato dal Senato. Contro la parte
che riguarda la previdenza (blocco delle perequazioni per alcuni milioni di
pensionati e “contributi di solidarietà” tali da portare l’aliquota marginale
sul reddito previdenziale al 61%) stanno cominciando a scendere in piazza varie
categorie professionali, come indicato, tra i tanti esempi, da un duro
editoriale sul Governo chiamato Barze-Letta nella newsletter dei medici
ospedalieri. Ci sono varie sentenze della Corte Costituzionale secondo cui
misure chiaramente discriminatorie nei confronti di una categoria (in questo
caso i pensionati) sono in aperto contrasto con la nostra Legge fondamentale.
Alla sentenza che ha cassato il “contributo di
solidarietà” imposto dal Governo Monti (e i pensionati stanno ancora aspettando
che l’Inps rimborsi quanto loro detratto, nonché gli interesse di legge e la
mora), si aggiunge quella del lontano 1995 sull’impiego improprio dei
contributi dell’ex-Gescal, nonché altre che definiscono le pensioni come
“salario differito” e, infine, l’art. 47 della Costituzione che tutela “il
risparmio in tutte le sue forme”. Pare evidente che la norma (pensata da
qualche Azzecarbugli in Via Ciro il Grande, sede centrale dell’Inps) serva solo
come facciata per dare l’apparenza che ci si preoccupa dei pensionati ai
livelli di reddito più bassi e che si trova la copertura aggredendo chi non può
sfuggire a un “contributo” detestato tanto quanto il canone Rai.
È anche chiaro che l’obiettivo si sarebbe potuto
raggiungere in altri modi, con risparmi di spesa (a iniziare da quello dei
molteplici emolumenti di chi è alla guida dell’Inps). È infine evidente che tra
qualche mese la norma verrà dichiarata incostituzionale e che, allora, tali
risparmi di spesa verranno effettuati, se del caso esiliando a Sant’Elena chi
ha ridotto il sistema previdenziale in questo stato. Anche in quanto sta
nascendo una “grande coalizione” tra generazioni (con le pensioni dei nonni si
pagano gli studi dei nipoti, come confermato pure dall’ultimo Rapporto del
Censis) molto più forte delle “chiare piccole intese” su si regge l’esecutivo.
La famiglia italiana effettiva non è di circa 2,5 persone, ma di oltre 8 che,
specialmente in tempi di crisi, si raggruppano e sostengono a vicenda;
l’apporto dei pensionati è fondamentale alla vita, ove non alla sopravvivenza,
di questi nuclei.
Tra tante chiarezze ciò che non si comprende è
l’assordante silenzio della Cgil. Nel 1984, il sindacato non esitò a rompere
con le altre principali organizzazioni dei lavoratori e a raccogliere firme per
far tenere un referendum con l’obiettivo di giungere all’abrogazione del
“congelamento” di alcuni punti di indennità di contingenza. Il referendum si
tenne e non ebbe successo. Adesso la Cgil avrebbe un’opportunità unica: il
sindacato, il cui 60% circa degli iscritti è costituito da pensionati, si
porrebbe alla guida di una coalizione per un “nuovo patto generazionale” e la
difesa dei diritti non solo acquisiti ma costituzionalmente garantiti.
n una fase in cui i partiti non sembrano essere più
un’efficace ed efficiente cinghia di trasmissione tra società civile e
politica, si porrebbe al centro di un vero scambio politico per
un’effettiva spending review in nome della difesa della non-discriminazione,
della tutela del salario (anche differito) e del risparmio e di una riduzione
delle spese improduttive, iniziando dal cumulo degli incarichi e dai
maxi-compensi. Potrebbe chiedere di avere un ruolo in detta spending
review.
Perché, al di là di qualche protesta di Susanna
Camusso, la Cgil tace? Già adesso soltanto un giovane lavoratore su dieci si
iscrive a un sindacato (e 0,3 su dieci alla Cgil). Ci sono ragioni nobili, come
si è riassunto, ma anche solo per motivi opportunistici la Cgil avrebbe
convenienza a prendere una posizione netta contro quello che uno specialista ha
definito un vero e proprio “obbrobrio previdenziale”.
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