È ancora presto per stappare lo champagne
GIUSEPPE PENNISI
Le bottiglie di champagne sono pronte, ma non si sa ancora se verranno stappate il 20 dicembre al termine del Consiglio Europeo: l’occasione sarebbe il compromesso sull’Unione bancaria. Ove si giungesse ad un accordo secondo le linee guida sin qui filtrate, occorrerà comunque chiedersi se il gioco è valso la candela.
In base al compromesso (la cui bozza sfiora le 200 pagine), la Germania rinuncerebbe all’opposizione alla creazione di un nuovo fondo europeo per ammorbidire l’urto dei fallimenti: ne verrebbe creato uno di 55-65 miliardi di euro (la cifra non è ancora definita), da costruire progressivamente nell’arco di dieci anni. Non sarebbe la Commissione Europea (in quanto organo tecnico) a dire la parola finale su fallimenti e piani di ristrutturazione, ma un nuovo Consiglio espressione dei Governi; la Commissione ne applicherebbe le decisioni (è probabile che le procedure vengano messe a punto entro la primavera, come sussurrato da Mario Draghi) nei prossimi mesi. Nell’arco dei dieci anni per l’entrata in funzione del nuovo fondo sarebbero le autorità nazionali a dovere intervenire individualmente a carico dei rispettivi Erari.
Il diavolo, come è noto, si nasconde nei dettagli e gli uomini hanno la memoria corta. Un meccanismo analogo venne previsto nel Trattato di Maastricht, ma appena i mercati annusarono – a torto o ragione – che qualche Stato dell’area non sarebbe stato in grado di arrivare puntuale a tutte le tappe – scoppiò la crisi dell’estate-autunno del 1992 che lasciò alcune banche centrali in braghe di tela e spinse alcuni Governi a dire bye-bye al futuro euro. Sarebbe più semplice ampliare il raggio d’azione del Meccanismo Europeo di Stabilità (il cosiddetto Fondo salva Stati) – aumentandone la dotazione se e quando ce ne fosse l’esigenza – oppure utilizzare una rete di accordi tra le banche centrali simile agli accordi monetari europei del 1978-1999.
Inoltre, per giungere al compromesso verrebbero accantonate sine die sia la messa in atto di una garanzia europea sui depositi in conto corrente (entro un tetto ben specificato) sia l’uniformità delle garanzie nazionali. Ciò aumenta il rischio dei bail in, cioé dei salvataggi a carico dei risparmiatori piccoli e medi, i cui conti correnti verrebbero utilizzati per coprire crisi di insolvenza e potrebbe causare fughe di risparmio verso gli Stati (ed i sistemi bancari) più garantisti. L’Italia che è tra gli Stati garantisti (sino a 100mila euro) ne guadagnerebbe. Ma il futuro della finanza europea ne soffrirebbe.
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