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L'Italia rischia un autogol in Europa
Pubblicazione: lunedì 16 dicembre 2013
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NEWS Economia e Finanza
Il 19 e il 20 dicembre, i Capi di Stato e di Governo
dell’Unione europea si riuniscono a Bruxelles per l’ultima sessione di un anno,
il 2013, in cui (nonostante ogni due settimane si sia inneggiato ai segnali di
ripresa) il Pil dell’eurozona, il cuore dell’Ue, ha segnato una contrazione
(-0,5%), nell’ultimo trimestre ha fatto marcia indietro la produzione
industriale, il tasso di disoccupazione è oltre il 12% delle forze di lavoro,
ecc.
L’ordine del giorno prevede tre temi principali: a)
politica di sicurezza e di difesa comune; b) allargamento, migrazione ed
energia; c) unione economica e monetaria e politica economica e sociale. In
effetti, sui primi due ci si aspettano monologhi alterni tali da consentire a
ciascun leader di affermare, nelle conferenze stampa con i giornalisti dei
propri Stati, di dire che “si stanno facendo progressi” nelle direzioni
indicate dalle rispettive nazioni. Solo il terzo è argomento sostanziale di
discussione e di negoziato.
In effetti, anche in questo campo, occorre essere più
circospetti: l’Ue ha praticamente “abdicato in materia economica e sociale” (le
resta solo l’ancora dei parametri di Maastricht) e sta puntando tutto
sull’unione bancaria. L’Economist in edicola titola efficacemente un suo
editoriale Banking on a New Union che può essere inteso sia “scommettere
sulla riuscita della trattativa sull’unione bancaria”, sia “puntare su una
nuova Ue”.
Per come si presenta la situazione, un eventuale
successo in materia di negoziato di unione bancaria (quale si configura adesso)
potrebbe innescare l’esigenza di rimettere mano al più presto ai principali trattati
europei (Maastricht, Lisbona) e a non facili procedure di ratifica in una fase
in cui, a ragione o a torto, i sentimenti dell’elettorato europeo (le elezioni
del Parlamento europeo sono alle porte) non sono proprio favorevoli a
un’integrazione in direzione federalista.
La settimana scorsa, all’ultima riunione del Consiglio
dei Ministri Economici e Finanziari (Ecofin), la Commissione europea ha
presentato una bozza di accordo sull’unione bancaria di ben 166 pagine. Le
dimensioni bastano da sole a dimostrare quanto le posizioni siano distanti. È
verosimile che ci sia una nuova sessione dell’Ecofin il 17 o il 18 proprio per
presentare uno schema ai Capi di Stato e di Governo. La trattativa sta
continuando grazie ai mezzi posti a disposizione dalla telematica (che spesso
sostituisce i Rappresentanti Permanenti e gli Ambasciatori).
Nella concezione originale, l’unione bancaria dovrebbe
avere ha tre pilastri: un sistema di vigilanza uniforme incentrato sulla Bce,
un metodo “europeo” per i fallimenti di banche, una garanzia uniforme per i
depositi in conto corrente. Sul primo pilastro si è giunti a un accordo: la Bce
ha varato un programma straordinario di assunzioni e, a Francoforte, sta
costruendo una nuova torre. Il terzo punto è stato accantonato in attesa di
un’intesa sul secondo. Il tentativo è di giungere a un accordo sui fallimenti
bancari prima di Natale.
In effetti, al momento (la situazione però cambia di
continuo), un compromesso pare possibile. La Germania rinuncerebbe
all’opposizione netta alla creazione di un nuovo “fondo” europeo per
ammorbidire l’urto dei fallimenti: ne verrebbe creato uno di 65 miliardi di
euro, da finanziare progressivamente nell’arco di dieci anni. Non sarebbe,
però, la Commissione a dire la parola finale su fallimenti e piani di
ristrutturazione, ma un complesso sistema: un nuovo Consiglio espressione dei
Governi e la Commissione (non è chiaro se la quest’ultima potrebbe agire
unilateralmente o su mandato preventivo del nuovo Consiglio). Nell’arco dei
dieci anni per il finanziamento e la creazione del nuovo fondo sarebbero le
autorità nazionali di ciascun Stato membro a dover intervenire individualmente
a carico dei rispettivi erari. In linea, poi, con il principio che il bail-in(pagamenti
a carico degli amministratori e dei creditori) deve precedere il bail-out (intervento
pubblico sia nazionale che europeo), l’uniformazione delle garanzie pubbliche
sui depositi verrebbe accantonata per sempre.
Questo meccanismo potrebbe permettere di brindare
all’unione bancaria prima della fine del 2013, ma è pieno di difetti. Il
diavolo, come è noto, si nasconde nei dettagli, ma in questo caso ci ha proprio
messo la coda. Sul primo punto, è difficile comprendere perché alcuni Stati
(tra cui l’Italia) abbiano insistito tanto sul nuovo fondo (che secondo il
diritto costituzionale tedesco avrebbe richiesto ratifica parlamentare a
Berlino): si sarebbero semplicemente potuti ampliare i compiti del Meccanismo
europeo di stabilità (il cosi detto “Fondo salva-Stati”) oppure utilizzare una
rete di accordi tra le banche centrali simili agli accordi monetari europei del
1978-1999. Il marchingegno escogitato (sinora) è tanto macchinoso da diventare
difficilmente operativo. E da fare avviluppare l’unione bancaria su stessa.
Grave poi la decisione di accantonare “sine die”
l’uniformazione delle garanzie sui depositi: ciò pone il rischio dei bail-in su
risparmiatori piccoli e medi e di causare fughe di risparmio verso gli Stati (e
i sistemi bancari) più garantisti. Delle toppe che si stanno mettendo al Trattato
di Maastricht questa sembra essere la peggiore. L’Italia presiederà il
Consiglio Ue dal primo luglio 2014. Il Governo non faccia il Don Abbondio:
prenda il coraggio a due mani perché l’eurozona venga rinegoziata da cima a
fondo.
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