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Il sentimento domina la Traviata di Sant'Ambrogio
Dal 29 dicembre 1859, quando La Traviata di Giuseppe Verdi venne messa in
scena per la prima volta nella sala del Piermarini, l’opera è forse una delle
più presenti nei cartelloni della Scala, ma questo 7 dicembre è stata scelta
per la prima volta per inaugurare la stagione la sera di Sant’Ambrogio. Perché
i gestoriche si sono avvicendati in oltre 160 anni alla Scala non hanno mai
osato scommettere su un lavoro così conosciuto, apprezzato e popolare per la
più importante serata del teatro?
Sotto il profilo musicale, La Traviata è un’opera solo all’apparenza facile, accattivante e orecchiabile. Per una buona esecuzione ci vorrebbero almeno due soprani con differente vocalità (uno lirico di coloratura nella prima parte e uno drammatico nella seconda, lo spartiacque è l’arioso Amami Alfredo al secondo atto), mentre il tenore ha una cabaletta difficilissima sui suoi bollenti spiriti al secondo atto.
Anche la concertazione non è affatto semplice, a ragione delle varie tinte che assume l’orchestra e dell’esigenza di un delicato equilibrio tra palcoscenico e buca. A queste ragioni musicali (con molte complicazioni tecniche, tra cui l’esplosione orchestrale del finale in re bemolle minore ripetuto con insistenza) si aggiungono complessità drammaturgiche, perché Verdi e il librettista Piave (e prima di loro Dumas junior) concepirono il lavoro come un'opera contemporanea da mettere in scena con costumi e ambientazioni analoghe a quelli a cui era uso il pubblico (anche se, per ragioni di censura, alla prima assoluta a Venezia nel 1853 l’azione venne spostata alla Parigi del Settecento).
Da allora sono invalse varie tendenze: da un lato, allestimenti in cui ci si riferiva alla seconda metà dell’Ottocento (magari, come fece Luchino Visconti, spostandola di qualche decennio in epoca proustiana); dall'altro, principalmente in Germania, nei Paesi nordici e in Francia, ambientando l’opera ai giorni nostri.
Questa premessa è utile per spiegare perché La Traviata a Sant’Ambrogio era un evento molto atteso e perché parte del pubblico ha fischiato il regista e scenografo, Dmitri Tcherniakov, e la costumista Yelena Zaytseva. C’è stata una convergenza tra due opposte tifoserie: da un canto, chi si attendeva da Tcherniakov e dalla sua squadra un lavoro fortemente innovativo, trasgressivo e politico (come alcune sue regie recenti anche alla Scala), dall'altro, chi voleva qualcosa di elegante e sfarzoso, simile allo spettacolo firmato da Liliana Cavani (con scene di Dante Ferretti) visto alla Scala dal 1990 al 2008.
L’allestimento di Tcherniakov non segue né l’uno né l’altro approccio. Presenta La Traviata come una commovente, struggente storia d’amore tra due giovani in un ambiente borghese di qualsiasi Paese europeo ai giorni nostri. Un amore nato sotto maligna stella, per prendere a prestito un verso da un’altra opera verdiana, pieno di fisicità ma in cui domina il sentimento e gli accenni all’eros sono molto sfumati. E’, a mio avviso, una lettura che sarebbe piaciuta a Verdi e che il pubblico ha seguito con grande intensità e applausi a scena aperta a Diana Damrau (vere e proprie ovazioni dopo Addio del Passato), a Piotr Beczala a al resto della compagnia che sfoggiava un cameo di lusso, l’ormai non più giovane Mara Zampieri nel breve ruolo di Annina.
Lo spettacolo, che ha avuto un grande successo alla rappresentazione per i giovani proprio perché scava nell’amore tra giovani, si replica sino al 2 gennaio; l’emotività delle due differenti tifoserie probabilmente si calmerà e l’allestimento verrà ripreso nelle prossime stagioni. Reazioni molto più forti ebbe la produzione di Peter Mussbach quando, nel luglio 2003, debuttò a Aix en Provence: da allora solo alla Staatsoper di Berlino si replica almeno dieci sere l’anno.
Di grande livello gli aspetti musicali. In primo luogo per la cesellata e coloratissima concertazione di Daniele Gatti. In secondo luogo perché Diama Damrau è oggi una dei pochi soprani con la doppia vocalità richiesta. Infine perché tutti gli altri, anche i comprimari, non solo cantano bene ma recitano da attori di consumata esperienza. (riproduzione riservata)
Sotto il profilo musicale, La Traviata è un’opera solo all’apparenza facile, accattivante e orecchiabile. Per una buona esecuzione ci vorrebbero almeno due soprani con differente vocalità (uno lirico di coloratura nella prima parte e uno drammatico nella seconda, lo spartiacque è l’arioso Amami Alfredo al secondo atto), mentre il tenore ha una cabaletta difficilissima sui suoi bollenti spiriti al secondo atto.
Anche la concertazione non è affatto semplice, a ragione delle varie tinte che assume l’orchestra e dell’esigenza di un delicato equilibrio tra palcoscenico e buca. A queste ragioni musicali (con molte complicazioni tecniche, tra cui l’esplosione orchestrale del finale in re bemolle minore ripetuto con insistenza) si aggiungono complessità drammaturgiche, perché Verdi e il librettista Piave (e prima di loro Dumas junior) concepirono il lavoro come un'opera contemporanea da mettere in scena con costumi e ambientazioni analoghe a quelli a cui era uso il pubblico (anche se, per ragioni di censura, alla prima assoluta a Venezia nel 1853 l’azione venne spostata alla Parigi del Settecento).
Da allora sono invalse varie tendenze: da un lato, allestimenti in cui ci si riferiva alla seconda metà dell’Ottocento (magari, come fece Luchino Visconti, spostandola di qualche decennio in epoca proustiana); dall'altro, principalmente in Germania, nei Paesi nordici e in Francia, ambientando l’opera ai giorni nostri.
Questa premessa è utile per spiegare perché La Traviata a Sant’Ambrogio era un evento molto atteso e perché parte del pubblico ha fischiato il regista e scenografo, Dmitri Tcherniakov, e la costumista Yelena Zaytseva. C’è stata una convergenza tra due opposte tifoserie: da un canto, chi si attendeva da Tcherniakov e dalla sua squadra un lavoro fortemente innovativo, trasgressivo e politico (come alcune sue regie recenti anche alla Scala), dall'altro, chi voleva qualcosa di elegante e sfarzoso, simile allo spettacolo firmato da Liliana Cavani (con scene di Dante Ferretti) visto alla Scala dal 1990 al 2008.
L’allestimento di Tcherniakov non segue né l’uno né l’altro approccio. Presenta La Traviata come una commovente, struggente storia d’amore tra due giovani in un ambiente borghese di qualsiasi Paese europeo ai giorni nostri. Un amore nato sotto maligna stella, per prendere a prestito un verso da un’altra opera verdiana, pieno di fisicità ma in cui domina il sentimento e gli accenni all’eros sono molto sfumati. E’, a mio avviso, una lettura che sarebbe piaciuta a Verdi e che il pubblico ha seguito con grande intensità e applausi a scena aperta a Diana Damrau (vere e proprie ovazioni dopo Addio del Passato), a Piotr Beczala a al resto della compagnia che sfoggiava un cameo di lusso, l’ormai non più giovane Mara Zampieri nel breve ruolo di Annina.
Lo spettacolo, che ha avuto un grande successo alla rappresentazione per i giovani proprio perché scava nell’amore tra giovani, si replica sino al 2 gennaio; l’emotività delle due differenti tifoserie probabilmente si calmerà e l’allestimento verrà ripreso nelle prossime stagioni. Reazioni molto più forti ebbe la produzione di Peter Mussbach quando, nel luglio 2003, debuttò a Aix en Provence: da allora solo alla Staatsoper di Berlino si replica almeno dieci sere l’anno.
Di grande livello gli aspetti musicali. In primo luogo per la cesellata e coloratissima concertazione di Daniele Gatti. In secondo luogo perché Diama Damrau è oggi una dei pochi soprani con la doppia vocalità richiesta. Infine perché tutti gli altri, anche i comprimari, non solo cantano bene ma recitano da attori di consumata esperienza. (riproduzione riservata)
di Giuseppe Pennisi
Milano Finanza Editori S.p.a.
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