lunedì 26 gennaio 2009

PER CAPIRE QUESTO SCONTRO DI CIVILTA’ BISOGNA ANDARE ALL’OPERA, Il Foglio 27 gennaio

Per una mera coincidenza, a poche settimane dalla morte di Samuel Huntington, tre dei maggiori teatri italiani inaugurano le stagioni 2009 con tre opere i cui libretti (ed in un caso la partitura) sembrano rappresentazioni di “The Clash of Civilisations”, titolo del suo lavoro più noto, pur se, ad essere pignoli, la frase (che tanto contribuì al successo del volume) era stata coniata da quel simpaticone di Bernard Lewis il quale, con un quarto di secolo di anticipo, ha delineato lo “scontro” tra valori occidentali e Islam radicale di questo ultimo decennio.
Le tre opere sono “I Lombardi alla Prima Crociata” ed “Aida” di Verdi (inaugurazioni di Parma e Roma, in ordine rigorosamente cronologico) e “Lohengrin” di Wagner (ha aperto, in grande spolvero, il “Massimo” di Palermo, una delle rare fondazioni liriche con i conti in regola da circa un lustro). Verdi stava smarrendo la Fede quando lavorava ai “Lombardi” e la aveva persa del tutto quando componeva “Aida”, una dei suoi lavori più apertamente anti-clericali (Il Foglio dell’8 ottobre 2008). All’epoca del “Lohengrin”, Wagner, invece, era una testa calda (su cui incombeva una condanna a morte per il ruolo dei moti anarchici del 1848), ma profondamente luterano (pure perché in esilio nel cattolico, e bigotto, Regno di Sardegna e nella parimenti bigotta Svizzera di lingua tedesca). Il “Clash” di Huntington è tra “cultures” in cui la religione e la religiosità hanno un ruolo profondo.
Ne “I Lombardi”, i nostri eroi vanno alla conquista del Santo Sepolcro , correndo “all’invito di un pio”, ma nella loro Milano sono divisi in fazioni fratricide e commettono (per errore- sic!) patricidi, i meno affidabili diventano addirittura musulmani. Giunti in Terra Santa, stupri e saccheggi sono all’ordine del giorno, temperati ovviamente da pentimenti, conversioni (d’arabi “buoni” al cristianesimo). Lavoro patriottico (se si vuole) con un grande appello finale alla pace. Lo mette bene in risalto l’allestimento di Parma (regia di Lamberto Puggelli, scene di Paolo Bregni, costumi di Santuzza Calì, direzione musicale di Daniele Callegari; un magnifico giovane tenore, Francesco Meli) che non cade in banali attualizzazioni (“Ground Zero”, Striscia di Gaza) quali quelle dell’allestimento di Paul Curan visto a Firenze, ma propone un MedioEvo nebbioso in Lombardia ma arso dal sole in Palestina. A Verdi dello “scontro di civiltà” non importava un fico secco; da fedele suddito del Granducato di Parma e Piacenza, lo stesso patriottismo era richiesto dall’impresario (per ragioni di cassetta). A Verdi interessavano, cavatine, cabalette, arie, duetti, concertati e ben otto grandi parti corali. Lo “scontro” è centrale in “Aida” (tra egiziani e etiopi) ma Verdi voleva superare il melodramma e forgiare il teatro in musica all’italiana (prendendo qualche idea da Wagner): l’opera è del 1871, la breccia di Porta Pia era ancora calda, quindi, duri attacchi al clero egiziano ed occhi benevoli per gli etiopi vinti. Nell’edizione romana (coprodotta con Londra e Bruxelles), Bob Wilson sceglie una chiave intimista (movimenti ispirati ai geroglifici, scene essenziali, luci che rappresentano stati d’animo) e il “clash” resta sullo sfondo.
E’, invece, elemento centrale del “Lohengrin”: l’allestimento ha debuttato a Palermo e si vedrà anche a Genova poiché coprodotto con il “Carlo Felice”). Wagner la chiamò “grande opera romantica in tre atti” ma è il primo lavoro in cui attua la “rivoluzione” che schiude la porta alla “musica dell’avvenire”. E’ anche il primo da consigliare a chi studia composizione (per la nitidezza della scrittura). In “Lohegrin” s’intrecciano tre componenti, ciascuna appartenente ad un universo musicale differente, benché legate da un continuo flusso orchestrale: a) il contesto storico dell’unità dei popoli europei di fronte all’invasione da parte dei mongoli-ungari (diatonico quasi sino alla spasimo); b) il contrasto tra il cristianesimo -e la visione lontana del Santo Gral- dei sassoni e dei brabantini ed il paganesimo ancora sottotraccia (denso di anticipi cromatici); e c) l’incapacità della protagonista Elsa di trasformare in vero amore il suo innamoramento per Lohengrin (con tratti ancorati alllo Spontini del periodo prussiano). Con un cast stellare e la direzione musicale di Günter Neuhold, il regista Hugo de Ana (autore anche di scene, costumi e luci) imprime un tono metafisico allo “scontro” (anche se s’incrociano spade al primo ed al terzo atto). A Sam sarebbe piaciuto essere in un palco del “Massimo” e partecipare alla cena di gala nel ridotto del teatro palermitano.

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