Giuseppe Romano
MEZZOGIORNO DI CUOCO
Montana: Cinquanta Anni di Storia, di Pubblicità e d’Alimentazione Italiana
Venezia, Marsilio pp. 125 € 13
Nel 1961, a scopo chiaramente celebrativo, Garinei e Giovannini (con l’allora giovanissima Lina Wertmuller nelle vesti d’ aiuto regista e il quasi sconosciuto Ennio Moricone in quelle di orchestratore dello spartito composto da Renato Rascel) misero in scena una commedia musicale. Si pensava avrebbe avuto un anno di vita- quello del centenario dell’unità d’Italia. La tournée italiana durò due anni e fu seguita da una serie di spettacoli (in lingua inglese) a Londra, al Piccadilly Theatre, tra cui una “Royal Performance” alla presenza della Regina Elisabetta (che aveva insistito per vedere il musical italiano di cui tutti parlavano). Era “Enrico 61”: tracciando la vita di un cappellaio nato a Roma nel 1861, ed ancora arzillo cento anni più tardi, narrava i mutamenti della società italiana passando dal periodo immediatamente successivo all’unità, al trasformismo depetrisiano, alla prima guerra mondiale, al fascismo, al secondo conflitto, al miracolo economico ed ai primi spiragli (dopo i fatti d’Ungheria) del centrosinistra. Un modo insolito, ma efficace, per fare conoscere non tanto la storia d’Italia (già allora poco studiata anche in Patria) ma i mutamenti del costume, delle abitudini e dell’economia di una società che in un secolo diventava da rurale ed industriale. La commedia in musica è ancora disponibile in DvD; come dimostra una rapida ricerca fatta su E-Bay. Indicazione della sua buona confezione.
Giuseppe Romano, giornalista (è redattore capo de “Il Domenicale” e docente universitario di piattaforme multimediali, oltre che raffinato buongustaio), con il suo “Mezzogiorno di Cuoco”, prende avvio, più o meno, dove terminava la commedia di Garinei e Giovannini: negli Anni 40, quando in piena seconda guerra mondiale, l’autarchia era non una scelta politica quanto una necessità e molti rischiavano di andare a letto a pancia vuota. . Non ci aspetti una replica italiana della monumentale “The Cambridge History of Food Habits” ( due volumi ad un prezzo di listino di oltre 150 euro) curati circa un lustro fa, da Kenneth F. Kiple e Kriemhild Conée Ornelas, e da una schiera di loro collaboratori- storia minuziosa dell’evoluzione socio-politica dell’umanità attraverso non come ci si comporta a tavola (se ne era già occupato l’antropologo Claude Lévi Strauss) ma come e cosa si mangia. Il Kiple- Conée Ornelas è un architrave per coloro che amano la storia e le ricette culinarie.
Il saggio di Romano è un libro svelto che si legge in un pomeriggio. Utilizza poche ma efficaci statistiche - all’inizio degli Anni 60 (in pieno miracolo economico) circa il 55% delle spese di consumo delle famiglie degli italiani erano per alimentari (e il 19% per altri generi di beni e servivi) mentre quando si stava per entrare nel XXI secolo, gli alimentari assorbivano meno del 20% dei consumi della famiglia-tipo (ed il 60% si dirigeva a beni e servizi di altra natura). Interessa Romano ciò che sociologi ed economisti chiamano il micro-sociale per toccare con mano come è cambiata l’Italia attraverso un unico prodotto: la carne, specialmente quella “in scatola” od “a lunga conservazione”, prodotta nella nostra versione tutta casareccia prima ancora che arrivasse il “corned beef” americano del “Piano Marshall”. Dal prodotto si vede non solamente come massaie e famiglie vi si accostano ma anche come farlo conoscere. Dunque Romano studia l’evoluzione della pubblicità (per la carne) - uno dei campi della sua disciplina universitaria- , specialmente da quando la televisione è entrata nelle nostre case; pertanto l’analisi va all’evoluzione del mercato televisivo. Il libro sfiora anche il mutare della distribuzione (ma con l’occhio del giornalista non dello specialista di marketing) e le nuovi abitudini del “fast food” e dello “slow food”. All’inizio di questo secolo: quando cominciano a mangiare carne cinesi ed indiani (ed i prezzi delle derrate vanno alle stelle), comincia un’altra vicenda – ancora tutta da realizzarsi prima ancora che da raccontare.
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