giovedì 22 gennaio 2009

LOHENGRIN E LA VITTORIA DI QUELLA EUROPA’, Il Domenicale 24 gennaio

Il 24 gennaio s’inaugura la stagione 2009 del Teatro Massimo di Palermo. L’evento ha una duplice valenza: a) dopo un periodo di difficoltà, il teatro è risanato grazie sia ad abili operazioni organizzative (lo guida un sovrintendente in cattedra all’ateneo palermitano ma di scuola rigorosamente americana) ed un programma di co-produzioni nazionali ed internazionali; c) si mette in scena “Lohengrin” di Richard Wagner (in co-produzione con il Teatro Carlo Felice di Genova, dove approderà tra alcuni mesi), lavoro che mancava da lustri dalla Sicilia (a causa del grande sforzo produttivo che richiede) e che , nonostante sia stato concepito a composto a metà Ottocento e tratti di una vicenda situata attorno all’Anno Mille, è oggi quanto mai attuale. Il suo fulcro centrale, infatti, è un doppio scontro di civiltà, per utilizzare il lessico di Samuel Huntington: tra l’Europa in cerca di coesione e d’unità, da un canto, e l’invasione degli ungaro-unni, dall’altro, nonché tra varie forme di cristianesimo, da un lato, ed il paganesimo, dall’altro. Il paganesimo – inoltre –alberga, in “Lohengrin” nell’Europa cristianizzata, oltre che tra gli ungano-unni (nel fondale dalla prima all’ultima nota, ma mai in scena). Il messaggio politico di un Wagner fuggiasco – su di lui pendeva una condanna a morte in tutti gli Stati tedeschi per avere partecipato, a fianco dell’anarchico Bakunin, ai moti del 1848- è chiaro: la minaccia al nostro interno è più insidiosa (e più forte) di quella dell’esterno tanto che è la prima, non la seconda, a scatenare il dramma finale.
E’ essenziale tenerlo presente perché “la grande opera romantica in tre atti” (così la chiamò l’autore) è stata per decenni rappresentata come una vicenda d’amore – inteso come fiducia totale e completa dell’uno nell’altra e viceversa- in cui un primo soprano lirico è di sublime virtù e sta per unire la propria vita ad un nobile tenore eroico, ma viene messa sulla strada del dubbio da un perfido secondo soprano drammatico (o mezzo-soprano), assecondato da un baritono, non malvagio di suo, ma facile a farsi traviare dalla diabolica moglie. In questa lettura, consueta anche in messe in scena recenti in Italia (ed abituale in quelle in traduzione ritmica italiana), si perde quel contesto storico così importante per Wagner – si veda la lettera a Hans von Bulow del giugno 1867 in occasione delle rappresentazioni a Monaco dell’opera, precedentemente messa in scena in edizioni semplificate senza la supervisione dell’autore. Il Re, i Brabantini, i Sassoni, gli Ungaro-Unni sono visti, in queste letture, come elementi decorativi da grand opéra, pretesti per cori e scene di massa (nonché per cavalli sul palcoscenico).
La vicenda si svolge a Anversa, nel Brabante (quindi a rigor di geopolitica al di fuori della Germania – quando Wagner la concepì la città e la regione facevano parte del Belgio). Enrico I di Sassonia (detto l’Uccellatore, chiamato “Pater Patriae et Imperator Romanorum” ma non ancora ufficialmente “Kaiser”) vi si è recato per arruolare i Brabantinì contro una possibile invasione barbarica, allo spirare di un patto novennale di tregua con gli Ungaro-unnici. Wagner si attarda, nella lettera citata, sulle indicazioni di scena (e sui costumi): compatti i Sassoni e gli altri tedeschi (tutti con le stesse uniformi e gli stessi stendardi), divisi in potentati (ciascuno con la propria uniforme ed il proprio stendardo) i Brabantini (che hanno appena perso tanto la loro guida quanto il di lui erede). La richiesta di Enrico I è accolta con freddezza dai vari clan, sino all’arrivo di Lohengrin, accettato come loro “Protettore”, ed al suo deciso appoggio alla difesa contro la minacciata invasione. “Il contrasto tra il mondo dei Sassoni e quello dei Brabantini – scrive Ernest Newman nella sua monumentale opera in sei volumi su Wagner – è di conseguenza fattore drammatico che merita di essere reso il più chiaro possibile allo spettatore”. Sono due modi differenti di intendere lo “scontro di civiltà” tra europei, da un lato, e Ungaro-unnici, dall’altro. I Brabantini si sentono più lontani (geopoliticamente) dalle frontiere e meno a rischio; non sono pronti all’”impresa temeraria”, devono essere convinti da Lohengrin, venuto da “una terra lontana” e di cui non conoscono neppure il nome.
Ed è proprio in seno ai Brabantini che si svolge il secondo “scontro di civiltà”. La “religio” – lo nota Theodor Adorno – è l’altro fulcro dell’opera. I Brabantini sono cristiani, ma di conversione relativamente recente. La stessa, pur purissima Elsa, il soprano lirico di stupenda e struggente virtù, diventa, nella prima scena del terzo atto, spergiura scatenando il dramma. Mario Bortolotto – nel suo relativamente recente, e magistrale, “Wagner, l’Oscuro” (Adelphi) sottolinea che “solo Lohengrin aderisce alla verità graalica, all’esoterismo tradizionale” della Rivelazione mentre il cristianesimo professato dagli altri, soprattutto in Brabante ma anche alla corte di Re Enrico, è francamente esoterico. In Brabante, il cristianesimo convive con vecchie forme di “paganesimo”, quelle praticate (con magie, filtri e l’insinuazione del dubbio rispetto alla Verità) dal perfido secondo soprano (o mezzo-soprano) e di cui è succube, prima, il baritono e, poi, lo stesso soprano lirico. Di tale coesistenza si ha testimonianza non soltanto nelle Deutsche Sagen dei fratelli Grimm (una delle letture preferite di Wagner) ma anche in ricerche storiche recenti quali quelle di Margaret Mitchell (The Gods of Witches) : il normanno Re Nollo, dopo essersi convertito, faceva grandi donazioni alle chiese cristiane ma sacrificava i cristiani prigionieri agli dei pagani; nella sala del trono di Re Redwald c’erano due altari , uno più grande per la Messa, ed uno più piccolo per offrire sacrifici ai demoni.
In “Lohegrin” s’intrecciano, mirabilmente, questi elementi, ciascuno appartenente ad un universo musicale differente, benché legate da un continuo flusso orchestrale dove dominano gli archi: a) il contesto storico dell’unità del popoli tedeschi di fronte all’invasione (diatonico quasi sino alla spasimo); b) il contrasto tra varie declinazioni del cristianesimo (e la visione lontana del Santo Gral e della Verità), dei Sassoni e dei Brabantini ed il paganesimo di Ortrud e Telramund, il soprano, o mezzo soprano, perfido ed il baritono (denso di anticipi cromatici); e c) l’incapacità di Elsa, il soprano lirico, di trasformare in vero amore il suo innamoramento per Lohengrin (con tratti ancorati allo Spontini del periodo prussiano) e di assimilare a pieno la Verità.
E’ naturale chiedersi chi vince “il doppio scontro”? Nelle letture tradizionali, i protagonisti sono perdenti: Lohengrin deve tornare alla “terra lontana”, Elsa spira di infarto, Telramund viene ucciso dal protagonista per legittima difesa, Orturd additata come strega. In una lettura che tiene conto del doppio scontro di civiltà, la vittoria è univoca e certa: i Brabantini si uniscono ai Sassoni contro l’invasione, i “pagani” sono sconfitti, Elsa afferra la verità, e Lohengrin è chiamato a portare il verbo in altre lande.

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