sabato 17 gennaio 2009

MEGLIO NON ASCOLTARE ATTALI PER RISOLVERE LA CRISI, Libero 17 gennaio

L’Ing. Jacques Attali (non dimentichiamoci che si è laureato in ingegneria mineraria nel 1965) è prolifico (la sua biografia include una dozzina di saggi, alcuni romanzi, le regia di un film e di uno sceneggiato televisivo a puntate) e multiforme (“mente” dell’aristo-socialismo di Mitterand, Presidente della Bers, Consigliere di Stato, ora consulente di Sarkozy). Ci si doveva, quindi, aspettare un “istant book”, in cui, prima di altri, dicesse la sua sulle cause della crisi finanziaria e fornisse ricette all’universo mondo sui rimedi da mettere in atto per superarla. Il libro (“La crise, et après?”, Fayard , pp. 210, € 14) è appena uscito in Francia. La traduzione in italiano è già in corso e se ne prepara un grande battage editoriale-politico in primavera in Italia: dibattiti, convegni, interviste televisive, una puntata (pare) di “Ballarò” e chi più ne ha più ne metta.
Per questo motivo, il vostro “chroniqueur” lo ha letto con attenzione e ha deciso di scrivere alcune considerazioni per i lettori di Libero Mercato. In primo luogo, occorre sottolineare i meriti del lavoro. Attali è un bravo ingegnere: fornisce, dunque, un’analisi sintetica ma esauriente dell’ingegneria utilizzata per trasformare crediti (spesso inesigibili) in prodotti finanziari (da rivendere a terzi ed a terzi di terzi) e del complicato ed opaco sistema di garanzie che si era tentato di mettere in atto a loro supporto. Soprattutto, il libro è una descrizione facilmente comprensibile per i non-iniziati che oggi si arrabattano con i loro promotori finanziari per capire cosa è successo. In secondo luogo, L’Ing. Attali ha sempre avuto un penchant socio-politologico : propone, dunque, un quadro brillante di come negli Usa famiglie a basso reddito medio e travet di banca convinti d’essere finanziari si sono intrappolati in un gioco molto più grande di loro e di cui ignoravano gli aspetti essenziali.
Dove Attali toppa, e toppa male è in quel campo che dovrebbe essere più consono alla sua versatilità : la “political economy” della crisi (ossia spiegare, e forse comprendere, le ragioni in cui si incrociano politica ed economia e sono alla base del fenomeno). L’Ing. Attali scrive “questa prima crisi finanziaria della mondializzazione si spiega in gran misura per l’incapacità della società americana di fornire salari decenti alla classe media”. Il vecchio socialista prevale sull’ingegnere, sul banchiere, sul saggista, sul narratore, sul regista e sulle tante altre casacche indossate dal nostro. Non che la dispersione salariale (accentuatasi negli Usa ed altrove negli ultimi 20 anni) non sia una delle componenti delle determinanti che hanno condotto alla crisi. Ne è stata, però, una minore.
Nel saggio "The Political Economy of the Subprime Crisis: Why Subprime Was so Attractive to its Creators", in uscita nel fascicolo di primavera dello European Journal of Political Economy, Peter Shawn della University of South Wales, analizza con cura le cause sottolineando come il “fallimento della mano pubblica e della regolazione pubblica è stato molto più importante di quello del mercato”. A conclusioni analoghe – in base ad un esame di crisi bancarie in 50 Paesi nel periodo 1990-2005 (ossia prima dell’attuale crisi) giungono Paul Anthony Cashin e Rupa Duttagupta, due economisti del servizio studi del Fondo Monetario in "The Anatomy of Banking Crises" ,IMF Working Paper No. 08/93 , facilmente consultabile on line al sito www.imf.org. L’analisi più compiuta (e che meglio contraddice Attali, e gli attaliani nostrani) viene dal quel simpatico covo di liberisti britannici che è l’Istitute of Economic Affairs; non è frutto del lavoro di economisti e finanziari ma di un giurista, Thomas Vass ("The American Rule of Law and the Collapse of the American Economy" Private Capital Market Working Paper No. 08-07-04 , pure questo lavoro è consultabile on-line). L’analisi giuridica di Vass sottolinea come gli americani abbiamo perso fiducia nel loro sistema regolatorio (lo ha detto anche il Segretario al Tesoro uscente Henry Paulson nella sua intervista di Capodanno al “Financial Times”) e si sono, per questo motivo, gettati in bolle speculative (quella della “new economy” negli Anni 90, e quella del “subprime” nel passato recente), sfociate nella crisi esplosa la primavera scorsa.
Le citazioni potrebbe continuare in quanto la saggistica scientifica e professionale sta cominciando a produrre lavori di spessore sulle determinanti della crisi. Mi sono soffermato su alcuni di questi lavori (e su come siano distanti dall’analisi di Attali) perché non sono affatto convinto che le soluzioni proposte dall’ingegnere vadano nella direzione giusta. Attali propone l’armonizzazione e semplificazione delle regole contabili – un po’come l’acqua calda , su cui sono tutti d’accordo salvo ad accapigliarsi nel determinare a quanti centigradi , o Farenheit, l’acqua si debba considerare calda. Si rende , però, conto che ciò non basta. Sciorina una vera e propria litania di ciò che va dove lo porta il cuore: un maggiore intervento pubblico, meglio ancora se “mondialista”, per ristrutturare lo stock di debiti sovrani (a cominciare da quello Usa) e ripartire con i fondamentali economici e finanziari in ordine; definire regole mondiale per fare sì che “il lavoro in tutte le sue forme , soprattutto in quelle altruiste, sia la sola giustificazione ed appropriazione della ricchezza”. L’universo mondo , quindi, trasformato in una repubblica fondata sul lavoro ove non su una repubblica dei lavoratori. Queste ricette, tenetelo presente, avranno chi le ascolta quando il libro arriverà in Italia – alla vigilia delle elezioni europee.
E’ fin troppo facile dire che si tratta di utopia bella e buona. Meglio replicare con gli argomenti di Peter Shawn: se Pantalone è stato l’origine del problema come pensare che un Pantalone mondiale sia la soluzione? Oppure l’analisi statistica di Paul Anthony Cashin e Rupa Duttagupta (l’Ing. Attali è sempre stato allergico alle statistiche)? Oppure ancora, le argomentazioni giuridiche di Thomas Vass (il Consigliere di Stato Attali non ha mai amato le pandette; ha preferito il cinema non solo come regista – è uno dei maggiori e migliori conoscitori, non professionisti, della storia della settimana arte).



.

Nessun commento: