martedì 13 gennaio 2009

MA IL PATTO TRA MOSCA E KIEV NON DURERA’ A LUNGO, Libero del 13 gennaio

Nel gergo di chi s’interessa d’economia e finanza, l”effetto gennaio” è un’etichetta che per anni ha indicato come nel primo mese dell’anno a Wall Street, e, di rimbalzo, sulle principali Borse mondiali, ha dominato il toro, per periodi più o meno brevi (di solito un paio di settimane) prima che in febbraio (o giù di lì) gli indici tornavano nel loro alveo. In queste prime settimane del 2009, l’”effetto gennaio” sulle Borse non si è avvertito, ma, al contrario, si sono percepiti timori e tremori dell’avvicinarsi di mesi difficili. Dal 2006, chi segue i temi ed i problemi dell’energia è alle prese con un altro “effetto gennaio”: con l’avvicinarsi del gelido inverno in Europa centro-settentrionale, Russia ed Ucraina incrociano le spade sul prezzo che la seconda deve pagare per il gas naturale prodotto dalla prima e che attraversa la grande pianura del Paese per giungere a rifornire l’Europa Occidentale.
I primi tre anni l’”effetto gennaio” in materia d’offerta di gas naturale sono stati trattati sottovalutandone l’impatto e leggendo la crisi come scaramuccia all’interno dell’ex-Impero sovietico, destinata a risolversi senza troppi danni collaterali per il resto del mondo. L’Amministrazione Bush dava priorità all’ammissione dell’Ucraina nella Nato e,quindi, non faceva nulla per spingere Kiev a riformare il proprio mercato dell’energia – condizione essenziale per essere meno tributaria di Mosca. La Francia, in primo luogo, e gli altri Paesi europei – il Governo Prodi ha davvero brillato in materia per lo spettacolo offerto al resto del mondo – facevano a gara per ottenere i favori di Putin. La Commissione Europea prendeva le distanze da tutti e da tutti , strizzando un occhio all’Ucraina sperando che entrasse in un’Unione sempre più grande (senza comprendere, a mio avviso, che la forza dell’Ue è direttamente proporzionale alla sua coesione ma inversamente proporzionale alle sue dimensioni, specialmente se esse comportano un aumento dell’eterogeneità). Nell’anno di grazia 2009, “l’effetto gennaio” ha avuto almeno un’implicazione positiva: fare aprire i sonnolenti occhi di Bruxelles (dove a Capodanno si beve troppo champagne e si trinca troppa birra) e, a fronte dei rischi sempre più evidenti per Paesi dell’Ue , ha portato un portavoce dell’Ue a dichiarare “la situazione del tutto inaccettabile”. Anche perché questo “effetto gennaio” è piombato su un’Europa alla prese con la più grave crisi economica dalla fine della seconda guerra mondiale.(con un tasso di disoccupazione per l’intera Ue dell’8%, rispetto del 7% circa di 12 mesi fa).
Libero Mercato ha analizzato l’evolversi della vertenza tra Russia ed Ucraina (e le sue implicazioni per tutti noi). E’ probabile (e soprattutto auspicabile) che si giunga ad una soluzione prima che il 14 gennaio il Governo presenti il quadro al Parlamento. Più che soffermarsi ulteriormente sulle specifiche della vicenda, quindi, è bene tracciare le prospettive che si presentano nell’ipotesi (verosimile) che per ragioni non solo di politica energetica od industriale il contenzioso tra Russia e Ucraina abbia una pausa e gli intrighi di RosUkrEnergo (il conglomerato guidato da oligarchi dei due Paesi ed unico intermediario per le vendite di gas russo a Kiev) riprendano quanto prima. Il Premio Nobel Douglas North ci ha insegnato che all’avvicinarsi di nuove regole, le vecchie si irrigidiscono , anche e soprattutto su pressione dei gruppi di interesse a cui il nuovo farebbe perdere vantaggi.
Guardando in prospettiva, occorre, in primo luogo, non nutrire troppe illusioni né su una soluzione duratura della vertenza né sulle implicazioni dei principali percorsi alternativi per portare gas dall’ex-Impero sovietico all’Ue. In primo luogo, le due condotte promosse da Mosca, il Northern Stream (di particolare interesse per la Germania) ed il Southern Stream , eviterebbero il passaggio attraverso l’Ucraina ma l’Europa resterebbe tributaria del gas russo (e dei conflitti all’interno del Cremlino e tra Cremlino e altri oligarchi). In secondo luogo, anche dopo la messa in funzione del Nabucco (il gasdotto, promossa da Use ed Ue, che dovrebbe portare gas dell’Asia Centrale, principalmente dall’Azebarjan, all’Europa), il 40% dell’import europeo di gas continuerebbe a provenire dalla Russia. In parole povere, nessuno di questi progetti sostituisce i cento miliardi di metri cubi di gas che ora attraversano l’Ucraina.
Che risposte dare? Dato che qualsiasi alternativa tecnica comporta tempi tecnici niente affatto brevi, l’Ue deve imporsi regole di comportamento: a) bloccare, con sanzioni pesanti, accordi bilaterali con la Russia che farebbe sgretolare il fronte europeo; b) premere su Ucraina e Russia perché giungano ad un contratto a lungo termine con una formula, per la definizione e l’aggiornamento del prezzo, analoga a quella in vigore in numerosi contratti tra Gazprom e Paesi europei (o i loro enti per gli idrocarburi); c) fare pressioni sull’Ucraina screditandola come partner commerciale, e mostrando sanzioni (tra cui la sospensione dal G8); d) diversificare le proprie fonti di energia.
Unicamente una strategia internazionale ed europea? Un lavoro dell’Iefe (l’istituto di studi sulle fonti di energia della Bocconi) , lo IEFE Working Paper No. 16 traccia l’evoluzione della politica energetica italiana negli ultimi tre lustri e mette, correttamente in risalto, quanto effettuato con le misure di liberalizzazione già adottate. Pone, però, in risalto che nel campo specifico del gas, si è stati lenti sia in materia di flessibilità intertemporale della capacità di immagazzinare (e trattare le riserve) – tema su cui Libero Mercato ha portato il 9 gennaio importanti informazioni- sia nel funzionamento del mercato in cui i prezzi non sono stati utilizzati come segnali di scarsità relative. Un altro lavoro Iefe (IEFE Working Paper No. 13 ) tratta specificatamente di questi due temi, utilizzando un’interessante tecnica micro-economica. La (tardiva) liberalizzazione ha aumentato l’accesso agli stoccaggi , riducendo i privilegi di chi era in posizione dominante, ma è stata “dinamicamente inefficiente” : i meccanismi per la definizione delle tariffe, vincoli fisici alla capacità, e sanzioni troppo basse hanno ridotto gli incentivi ad espandere la gamma di strumenti per facilitare l’incontro tra domanda ed offerta (in tema di stoccaggio). Per superare questi ed altri nodi, occorre la creazione di un efficiente mercato a punto (spot market).

Ancora una volta, shakesperianamente parlando, i problemi non sono nelle nostre stelle ma in noi stessi. C’è molto che possiamo fare per limitare le implicazioni sull’Italia dell’”effetto gennaio”.

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