Gli economisti, soprattutto quelli italiani, hanno un difetto: la miopia. Cresciuti alla scuola della sintesi neo-keynesiana s’interessano principalmente al breve periodo e, tranne rare eccezioni, ignorano l’economia classica (che invece guardava ai processi di crescita nel lungo periodo). Oggi sono tutti avviluppati nella crisi finanziaria ed esprimere giudizi sui suoi effetti sull’economia reale nel 2009 – 2010 (vedi la politica dei giornalisti, più che dei protagonisti, sulle stime nell’ultimo “Bollettino” della Banca d’Italia). Perdono di vista le tre grandi crisi prossime venture. Tracciamone i lineamenti in base a studi recenti e facilmente disponibili a chi vuole approfondirli. Il quadro generale è presentato nel saggio di Wynne Godley, Dimitri Papadimitriou e Gennaro Zezza “Prospects for the United States and the World:A Crisis that Conventional Remedies Cannot Resolve” pubblicato nel numero di dicembre 2008 di “Strategic Analysis”, rivista disponibile unicamente in abbonamento ma che nel 2006 ha previsto , con notevole accuratezza, la crisi finanziaria “subprime” apparente già l’estate 2007 ma esplosa, con tutto il suo fragore, nell’estate 2008. In breve, il lavoro documenta che gli stimoli fisco monetari ed i bassi tassi d’interesse non riusciranno a risollevare il settore finanziario americano ed a porre le basi per la ripresa degli Usa e degli altri: il tasso di disoccupazione Usa (oggi al 7,2% della forza lavoro) minaccia di porsi al 10% alla fine del 2010.
I tassi nominali d’interesse hanno raggiunto, dai due lati dell’Atlantico, livelli così bassi da non avere precedenti, a ragione di decisioni più politiche che tecniche. Li manterranno? “Strategic Analysis” non risponde apertamente alla domanda. Solleva molti dubbi in proposito uno studio di Bourse Global Equities – una società franco-americana specializzata su questi temi: collocare la propria liquidità in titoli di Stato Usa con un rendimento nominale del 2% “rappresenta una speculazione non un investimento”. In effetti, solamente nell’area dell’euro, i Tesori dovranno emettere 20 miliardi d’euro di titoli la settimana nel prossimo futuro (unicamente per rifinanziare il proprio indebitamento in essere); una cifra ancora maggiore sarà necessaria negli Usa, specialmente se Obama avrà il consenso del Congresso sul programma d’espansione della spesa pubblica che ha tratteggiato in questi ultimi giorni.
Di conseguenza, già all’inizio del 2010 i tassi sui buoni del tesoro decennali (dei due lati dell’Atlantico) potranno tornare sul 5-5% l’anno, innescando un crollo della valorizzazione dello stock dei titoli a reddito fisso di chi oggi scappa dal capitale di rischio e dall’immobiliare e si rifugia in quello che è sempre parso come l’impiego meno rischioso (anche se a rendimento contenuto). Nei corridoi della Banca dei Regolamenti Internazionali a Basilea si parla di “crack” prossimo venturo dell’obbligazionario. Interessante a riguardo, lo studio di un economista d’estrazione cinese , Daxue Wang, ma che da anni lavora al Dipartimento Finanza dell’Università della Navarra. Il lavoro (pubblicato dall’Iese di Barcellona, documento di lavoro n. 777 , esamina l’andamento di 21 mercati finanziari con metodi statistici molto avanzati, rilevando come dalla crisi asiatica del 1997-98 ci sia stato un rafforzamento dell’”effetto mandria” (herd effect) – gli investitori, come i buoi, si seguono a vicenda, correndo oggi verso un obbligazionario nonostante la minaccia di dare pesanti delusioni tra 18-24 mesi.
La seconda crisi riguarda l’occupazione. Negli Usa, “Strategic Analysis” – si è visto – parla di un tasso di disoccupazione del 10% tra 12-18 mesi. Rajarshi Majumber ha pubblicato un saggio di spessore nell’ultimo fascicolo del 2008 dell’”Indian Journal of Labour Economics”. In India il tasso di disoccupazione è oggi al 6,8% (in Italia al 6,7%): la sua ipotesi, documentata con stime econometriche, è che la doppia crisi (della finanza e dell’economia reale) provocherà nell’arco di due-tre anni un forte aumento dei senza lavoro pure in Paesi (come Singapore) che da più di 30 anni non conoscono il fenomeno, ed importano manodopera. L’isteresi (ossia il lasso temporale tra ripresa dell’economia e quello dell’occupazione) si presenta più resiliente di quella successiva alla recessione del 1979-82 per due ragioni concomitanti: a) lo spessore della contrazione del pil e del commercio; e b) l’integrazione economica internazionale. Le due componenti si rafforzano a vicenda nell’allungare i tempi del rilancio dell’occupazione (dopo quello dell’economia reale).
La terza crisi è, quella, al tempo stesso più insidiosa e più celata: il cibo. Molti colleghi economisti dormono tra due guanciali, leggendo l’indice in dollari Usa dei prezzi alimentari computato dall’Economist Intelligence Uniti: una riduzione del 20% negli ultimi 12 mesi. Il passato, però, non si proietta necessariamente nel futuro. Il vostro “choniqueur” ha lavorato per diversi anni sia sullo sviluppo rurale sia sulle colture di piantagione e da esportazione tanto in Banca Mondiale quanto in Fao. A Washington, sede della Banca Mondiale, non si ama sfiorare l’argomento. Non così a Roma dove i documenti Fao sono eloquenti. Nel 2008 (mentre detonava la crisi finanziaria mondiale) il mondo ha goduto condizioni agro-climatiche eccezionali: la raccolta cerealicola mondiale ha raggiunto i 2,2 miliardi di tonnellate (con un aumento del 5,3% rispetto al 2007). Ciò ha consentito di rimpinguare gli stock (giunti a livello preoccupante il 30 giugno scorso). Chi s’intende d’economia agricola sa che, salvo la scoperta di nuove tecniche (“la rivoluzione verde” e l’”agribusiness” degli Anni 70), risultati così straordinari non si riproducono per diversi raccolti di seguito. Al contrario, è necessario mettere la terra a maggese, farla riposare, se non si vogliono compromettere le rese nel medio e lungo termine. Philippe Chalmin dell’Università Paris-Porte Dauphine (un covo di matematici non di sociologi radicali) dice: “Il mondo ha fame e ne avrà ancora di più, con e senza crisi finanziaria ed economica”. Ascoltiamolo.
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1 commento:
Grazie per la citazione, ma e' opportuno precisare che i Levy Institute Strategic Analysis non sono disponibili per abbonamento: sono pubblicati sul web. http://www.levy.org
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