L’inaugurazione della stagione 2009 del Teatro dell’Opera di Roma era molto attesa perché segna l’inizio dell’attività di un nuovo direttore artistico (Nicola Sani), votato alla musica contemporanea ed al “teatro di regia”. E’, inoltre, il primo spettacolo di un cartellone basato su collaborazioni internazionali (e con tre “prime” mondiali). Infine riporta, dopo 25 anni al teatro lirico della capitale, il regista texano Robert Wilson. La scelta è caduta sul titolo più convenzionale (“Aida” di Giuseppe Verdi) ma sulla produzione meno convenzionale: un Egitto appena accennato da alcuni elementi scenici, una regia bidimensionale (ossia senza giochi di prospettive) in cui interpreti e masse (anche esse essenziali) guardano il pubblico ed i movimenti sono ispirati ai geroglifici egiziani ed al teatro “Nô” giapponese. Grandi giochi di luci che esprimono stati d’animo, in linea con la musica. Lo spettacolo, raffinatissimo, è a Roma sino al 30 gennaio (si può anche vedere al Covent Garden di Londra e a La Monnaie di Bruxelles che lo co-producono). Il pubblico della “prima” si è diviso: l’abitualmente sonnolento teatro Costanzi è stato subissato da applausi e fischi (ed anche urla) di spettatori favorevoli e contrari alla messa in scena. Alla fine, hanno prevalso i primi.
La regia, le scene e le luci di Wilson, i costumi di Jacques Reynaud e la coreografia di Johah Bokaer sono un modo nuovo di leggere “Aida” come opera non solo intimista (così la concepì Verdi per un teatro, quello del Cairo, che ospitava non più di 700 spettatori) ma soprattutto altamente stilizzata e molto moderna.
Tuttavia, la direzione musicale di Daniele Oren (osannato dal pubblico romano) appare scollata da quanto avviene in scena; tempi veloci, accenti forti, nessun presagio novecentesco che si avverte nella complessa partitura verdiana. Un maestro concertatore come Kazushi Ono (alla guida de La Monnaie) avrebbe reso meglio gli eleganti giochi visivi di Robert Wilson.
Per le voci, si è chiamato ad un cast internazionale. La cinese Hui He ha trionfato nel ruolo della protagonista (ottenendo l’applauso anche di chi contestava Wilson): ha un timbro chiarissimo, vasta estensione, perfetta dizione. Salvatore Licita, stella assoluta del Metropolitan, torna a Roma dopo dieci anni; una sbavatura nell’aria iniziale (che lo ha costretto a scivolare da un “do”acuto in un falsetto) ma encomiabile nel terzo atto (terrificante per i tenori). Giovanna Casolla ha completato la propria trasformazione da soprano drammatico a mezzo- soprano; le gioverebbe un maggior controllo del volume. Ambrogio Maestri mantiene un’alta qualità. Carlo Colombara è un capo dei sacerdoti di livello.
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