La crisi di Governo (ed il suo ancora quanto mai incerto esito) hanno aperto ancora una volta il “dossier Alitalia”.
I lettori de L’Occidentale possono vedere le puntate precedenti nella sezione “Economia”: quindi, non è il caso di riassumere l’evoluzione del tormentone. Occorre, però, ricordare che, poche settimane prima che la crisi di Governo (in sostanza in corso già da mesi) venisse formalmente aperta dal voto di sfiducia del 24 gennaio, il CdA della compagnia, con il supporto attivo del Ministro dell’Economia e delle Finanze TPS e la”presa d’atto” del Consiglio dei Ministri, aveva iniziato un negoziato tecnico con AirFrance-KLM per giungere ad un accordo su tre cardini:
a) ricapitalizzazione;
b) scambio di azioni;
c) razionalizzazione delle rotte.
In tal modo si sarebbe dato vita al maggiore vettore mondiale di cui Alitalia sarebbe stato uno dei partner (pur se non il principale) – dopo avere (aspetto non secondario) salvato il collo.
Con la crisi paiono riaperti i giochi. In primo luogo, i sondaggi elettorali sono espliciti: in caso di nuove elezioni la maggioranza del Parlamento andrebbe a forze politiche più attente alle esigenze del Nord (leggi: Malpensa) di quella della XV legislatura. In secondo luogo, i conducenti nella cabina di pilotaggio di Alitalia (il Cda) sono di stretta osservanza “prodiana” (la parte uscita irrimediabilmente sconfitta, anche nel centro sinistra, dalla vicende delle ultime settimane).
Non deve, quindi, sorprendere che coloro (non solamente AirOne) che aspirano ad un cambiamento di rotta utilizzano le opportunità che vedono offerte loro dalla crisi.
Si tratta di opportunità effettive? Queste considerazioni vengono scritte a Milano, dopo una serie di conversazioni con specialisti della materia che operano nelle Regioni del Nord. Più che di opportunità si tratta di un pertugio molto stretto.
L’Alitalia è, infatti, su una pista che scotta: l’approssimarsi di una crisi di liquidità tale da diventare insolvenza. Spieghiamoci: Non è inconsueto che un’azienda grande, media o piccola abbia per periodi più meno lunghi un conto profitti e perdite (in gergo cash flow) di segno negativo. Ciò che importa è finanziarlo. Il nodo di Alitalia – sottolinea Carlo Scarpa dell’Università di Brescia – è l’impossibilità di trovare altri marchingegni di finanziamento. I “Mengozzi bonds” (obbligazioni emesse quando Francesco Mengozzi era alla guida della compagnia) – avvisa Marco Ponti dell’Università di Milano – sono stati “l’ultima spiaggia” .
Occorre ringraziare il Cielo che la proposta AirFrance-Klm comporti che la s.p.a. franco-olandese se ne prenda carico. Tecnicamente, Alitalia avrebbe dovuto portare i libri in tribunale tre anni fa.
Ora – secondo il Ministero dei Trasporti – ha in tasca di che vivere per circa tre mesi. Se a marzo non si giunge a conclusione della trattativa con AirFrance-Klm c’è il rischio di vedere (come avvenne 30 anni fa per Eastern Africa Airlines – grande vettore negli Anni 60) aerei abbandonati ad arrugginire in vari aeroporti perché gli scali si rifiutavano di fare ulteriore credito pure per il solo acquisto di carburante.
Naturalmente AirFrance-Klm sanno di negoziare da una posizione di forza. Ne sono consapevoli molte sigle sindacali – abbastanza tranquille (dopo qualche scatto all’inizio della crisi di Governo) perché temono il tracollo (e la conseguenza vendita degli scampoli a prezzi di saldo). Sanno, poi, che la situazione finanziaria e industriale di AirOne (nonostante il forte supporto delle banche) non è tale da assicurare un decollo ove fallisse la trattativa con AirFrance-Klm: al più, il competitore del gruppo franco-olandese, potrebbe rilevare qualche scampoli – ove di Alitalia si arrivasse ai saldi.
Anche quelle di Malpensa, tuttavia, sono piste calde. L’aeroporto è costato circa un miliardo di euro, di cui 440 dallo Stato, 500 autofinanziati ed il resto dall’Ue. Lo “uptake” (ossia il tasso in cui viene utilizzato) è stato molto lento anche a ragione con i non ottimali collegamenti con Milano e la concorrenza di altri scali nell’area: tuttavia, in corso un miglioramento – il numero dei passeggeri è aumentato del 10% nel 2006 – pur se la quota di utilizzazione da parte di utenti del Nord Italia è ancora bassa (meno del 40% rispetto al 70% di Francoforte ed al 60%) di Parigi. La stessa Milano che difende Malpensa punta il dito su seri problemi di efficienza: gestione dei bagagli scoraggiante, forti a ripetizione, poco confort nelle attese tra un volo e l’altro. In effetti, se Malpensa fosse costretta a contare su se stessa (senza avere il paracadute Alitalia) , è possibile che vengano messe in atto le misure essenziali per attirare compagnie aeree. Alla Bocconi, dove non si può non essere sensibili (o almeno rispettosi) rispetto alle esigenze della Lombardia, si ricorda che di norma gli aeroporti servono i vettori, non viceversa. Viene anche mostrata una mappa dei numerosi scali dell’area, molti dei quali piccoli ma efficienti hanno attirato molto traffico.
C’è, infine, un altro aspetto: non tutto il Nord ama Malpensa. Il Veneto preferisce il potenziamento di Verona , molti scali vogliono mantenere le quote di mercato conquistate ed anzi ampliarle. Piuttosto che rotolarsi per terra strappandosi i capelli o fare novene sperando in un miracolo, i simpatizzanti dell’aeroporto nei pressi di Busto Arsizio dovrebbe fare pressioni per
a) una razionalizzazione degli scali nell’aera;
b) serie misure per il miglioramento di efficienza ed efficace dell’aeroporto che è loro a cuore.
Il fallimento di Alitalia – sempre nel fondale – aggraverebbe la situazione di Malpensa non ne renderebbe più rosee le prospettive.
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