giovedì 10 gennaio 2008

IL TAGLIO DELLE TASSE AIUTA LA RIPRESA MA NON BASTA

Occorre leggere con gli occhiali di chi si intende di econometria il lavoro “Effetti di equilibrio economico generale della politica fiscale: stime per l’area dell’euro” di Lorenzo Forni, Libero Monteforti e Luca Sessa del servizio studi Bankitalia. L’analisi è disponibile da novembre e le sue varie versioni sono state oggetto di numerosi seminari in Italia ed all’estero negli ultimi due anni. La stampa d’informazione ne ha parlato soltanto nel fine settimana dell’Epifania (alla vigilia degli incontri Governo-sindacati sulla politica salariale) e ne ha colto un unico messaggio: quello secondo cui un taglio della pressione fiscale di un punto percentuale avrà effetti positivi sulla crescita nel medio periodo (due-quattro anni) se riduce l’imposizione sul lavoro e sui consumi, mentre avrebbe effetti più deboli se si intervenisse (sempre per un punto percentuale di pil) in altro modo.
Lo studio (basato su sviluppi innovativi di una metodologia consolidata- Amedeo Fossati ha curato nel 1991 una raccolta di saggi, tutti di autori italiani, su questi temi) dice molto di più. La riduzione dell’onere fiscale è condizione necessaria per la ripresa (e la soluzione ottimale, tra le alternative possibili, consiste nell’operarla sull’imposizione sul lavoro e sui consumi). Non è, però, la condizione sufficiente. Le equazioni relative al mercato del lavoro (pp. 13-14, 22-23 e 41-42 del testo inglese dello studio) sono almeno tanto importanti quanto quelle sui tributi: postulano un saggio salariale identico nel settore pubblico ed in quello privato e flessibilità lavoristica e retributiva nel privato. In termini di politica economica, ciò vuole dire avvicinare le retribuzioni nel pubblico e quelle nel privato (oggi le prime sono più elevate delle seconde, specialmente nel Mezzogiorno) e dare la priorità alla contrattazione decentrata perché è in azienda che meglio si coglie il nesso tra compenso e produttività. Ne conseguono lezioni immediate (molto eloquenti) non solamente per gli incontri a Palazzo Chigi ma anche per la contrattazione dei metalmeccanici (in agenda proprio in questi giorni).
Ad uno strumento econometrico non si può chiedere molto di più di queste indicazioni, peraltro significative. A mio parere, perché ci sia una ripresa robusta (nonostante le non buon notizie sul ciclo economico Usa), dopo l’anno delle privatizzazioni mancate (vedi ItaliaOggi del 3 gennaio), occorre anche dare un segnale forte in materia di denazionalizzazioni e liberalizzazioni prendendo l’avvio dai comparti più vicini alle esigenze quotidiane di imprese, di famiglie e di individui: quei sevizi pubblici locali dove – lo dice uno studio del Dipartimento di Economia dell’Università di Roma “La Sapienza”, non certo un covo di iperliberisti – la mano morta della politica è troppo forte. Con aggravi per tutti.

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