Se ci si basasse su considerazioni unicamente di tornaconto elettorale, le forze politiche all’opposizione in questa XVesima legislatura dovrebbero accettare la proposta del leader del Partito Democratico di un Governo istituzionale di 8-12 mesi per riformare assetto parlamentare, funzioni e poteri del Presidente del Consiglio, normativa elettorale, le principali istituzioni economiche ed i regolamenti parlamentari.
Ove si individuassero personalità gradite ad ambedue gli schieramenti per dar vita ad un Esecutivo (nonché disponibili a prendere, in questa fase, in mano la guida del Paese senza un mandato elettorale), il centro-destra incasserebbe, nell’immediato, nomine bipartisan a Enel, Eni, Finmeccanica, enti previdenziali, Rai e quant’altro.
Potrebbe, poi, smarcarsi della conduzione della politica economica e dalle responsabilità ad essa inerenti. Avrebbe la certezza di una vastissima vittoria elettorale nella primavera del 2009. Non solamente è difficilmente concepibile che si possa fare in 8-12 mesi (ed in clima politico come l’attuale) la “grande riforma” tentata ma mai realizzata (per l’opposizione della sinistra) sin dagli Anni Ottanta, ma la situazione economica dell’Italia non può che peggiorare in un 2008 difficile per l’intero gruppo dei Paesi industrializzati ad economia di mercato.
Infatti, nove dei 20 maggiori centri internazionali di ricerca econometrica previsionale stimano già oggi che nel 2008 la crescita economica dell’Italia sarà inferiore allo 0,8% (quindi quasi la metà di quanto assunto nelle ipotesi della nota di aggiornamento del Dpef sulla cui base è stata concepita la legge finanziaria, successivamente pure dilatata nel corso dell’iter parlamentare). Ciò vuole dire che per fare quadrare i conti e soddisfare gli impegni europei, chiunque sarà a Palazzo Chigi e a Via Venti Settembre il prossimo giugno (scadenza dell’”assestamento di bilancio”) dovrà effettuare una manovra di almeno 10-12 miliardi di euro (l’equivalente di una nuova finanziaria) riducendo spese ed aumentando entrate.
La cifra potrebbe essere ancora maggiore se:
a) il differenziale tra i tassi d’interesse sui Btp decennali ed i Bund continua a crescere dopo avere già raggiunto, in questi giorni, la punta più alta degli ultimi otto anni e/o
b) il marasma finanziario che dagli Usa sta colpendo Germania e Francia si espande all’Italia. A riguardo, la delegazione del Fondo monetario internazionale a Roma dal 24 gennaio ha espresso preoccupazione per la situazione di alcune banche italiane: venerdì primo febbraio terrà una riunione non di mera cortesia con i maggiori banchieri del Paese.
La scadenza di giugno è particolarmente importante perché la situazione della finanza pubblica italiana arriverebbe davvero alla soglia dell’insostenibilità nell’ipotesi (ventilata la sera del 28 gennaio) di fare in quel mese le elezioni: si rischierebbe di dover fare una manovra di aggiustamento ancor più dura in agosto (come fece il Governo Amato nel 1992): in effetti, spalmare, per così dire, un’operazione di 10-12 miliardi su quattro mesi pesa molto di più che spalmarla su sei mesi.
A questi problemi macro-economici e di finanza pubblica, si aggiunge una lunga lista di temi settoriali e micro-economici lasciati in eredità dalla disUnione prodiana. Cosa avverrà al riassetto delle authority ed alla messa a punto dei decreti delegati previsti dalla contro-riforma della previdenza? Che succederà al negoziato tra Alitalia e AirFrance-Klm e all’alta velocità? Come dar corpo all’alleggerimento della regolazione dato che i costosi studi effettuati in questi 20 mesi hanno riguardato solamente i vivai, i frantoi ed i biscottifici? Che fine faranno le richieste di aumento dei salari reali e/o del potere d’acquisto delle famiglie?
L’elenco degli interrogativi potrebbe continuare dato che il peso dell’indecisione governativa che ha caratterizzato l’Italia dalla primavera 2006 ha lasciato un’eredità gravissima. E’ tale da fare tremare. Sono nodi che è difficile pensare che possano essere sciolti da un Governo istituzionale a termine che non goda di un mandato elettorale forte.
Il tornaconto elettorale, dunque, cozza con le responsabilità nei confronti dell’Italia e degli italiani. Il primo consiste nel ritardare le elezioni ed avere una vittoria certa e solida non soltanto per la prevedibile resa dei conti all’interno della sinistra (i “prodiani” sono già sul piede di guerra contro i “veltroniani”) e dello stesso Partito Democratico ma perché è arduo prevedere (con la squadra che pare avere in mente Veltroni) una conduzione dell’economia (in un contesto internazione più complicato) migliore di quella degli ultimi 20 venti mesi. Le seconde richiedono che si scenda in campo con una legge elettorale altamente imperfetta per cercare di mettere l’Italia sul sentiero della crescita.
Lo dice peraltro a tutto tondo da circa tre settimane (ossia da prima che la crisi si aprisse sotto il profilo formale), un sondaggio del Club dell’Economia: il 70% di coloro che hanno risposto all’inchiesta consideravano un bene per l’economia del Paese una crisi di Governo “perché ridurrebbe il peso del deficit e del debito”; il 28% la giudicava “un male perché si perderebbe l’occasione di spendere di più per le pensioni e per le fasce disagiate; circa il 2% era invece indeciso.
Occorre, dunque, mettersi al lavoro con un saldo supporto elettorale. Prima che sia troppo tardi.
Riferimenti
Gomes F., Kotlikoff L, Viceira L. The Excess Burden of Government Indecision" NBER Working Paper No. W12859
Linzert T. Schmidt S. "What Explains the Spread between the Euro Overnight Rate and the ECB's Policy Rate?" Zentum Fuer Europaeische Wirtschaftsforschung (ZEW) - Center for European Economic Research Discussion Paper No. 07-076
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