Concluso il rinnovo contrattuale delle tute blu, la “questione salariale” (e la minaccia di uno sciopero generale) tornano in primo piano anche a ragione della pubblicazione del periodico Ocse in cui si comparano le retribuzioni nei 30 Paesi dell’organizzazione. A “parità di potere d’acquisto” i salari medi “lordi” in Italia risultano 19simi con un differenziale, ad esempio, di 9.000 euro l’anno con l’Australia e di 6.500 con la Germania. Battiamo di poco, però, Francia e Spagna.
In primo luogo, a ragione delle profonde differenze di welfare (e di pertinenti metodi di finanziamento), le retribuzioni “medie” raffrontate sono “al lordo” dell’imposta sul reddito ma non dei contributi sociali per disoccupazione, sanità, previdenza ed altro. In secondo luogo, come visto nel recente dibattito sul “sorpasso” della Spagna (rispetto al nostro Paese) in termini di pil pro-capite, le metodologie per stimare le “parità di potere d’acquisto” sono diverse e differenti (quelle della Commissione Europea non collimano con quelle di Fondo monetario e Banca mondiale) e possono comportare distorsioni. Queste finezze non vengono essere sempre colte dai media, a cui le informazioni arrivano tramite sintesi di uffici ed agenzie stampa dove è indispensabile semplificare aspetti tecnico-statistici.
Con ciò non si vuole sostenere che in Italia non c’è un problema di buste paga striminzite, ma che per risolvere il problema occorre porlo sul binario corretto (altrimenti si deraglia). E’ sempre l’Ocse a dirci ad esempio che per le pensione spendiamo il 14% del pil rispetto ad una media del 7,7% per i 30 Paesi e che abbiamo il più alto di contribuzione (il 33% del salario, tra quanto pagato dal lavoratore e quanto dal suo datore di lavoro) rispetto ad una media del 20%. L’Ocse ci avverte che la contro-riforma della previdenza approvata prima di Natale allargherà il divario, anche in quanto altri stanno abbassando prestazioni e contributi. I dati sui salari “medi” “lordi” hanno un nesso forte con il livello e le modalità di finanziamento della previdenza. E’ curioso vedere che chi si è battuto per la contro-riforma della previdenza, soltanto ora si accorga delle sue implicazioni sulle buste paga (ampiamente trattate lo scorso autunno). L’Ocse aggiunge che in Italia la produttività multifattoriale (ossia del lavoro e del capitale) ristagna; le stime al 2050 della produttività del lavoro elaborate dalla Commissione Europea ricordano che rischiamo di diventare l’ultima ruota del carro Ue; un’analisi (inedita) di Bankitalia e dell’Università della California puntualizza che dal 1995 al 2003 (ultima serie di dati disponibile), l’innovazione in Italia è stata di processo (molto reattiva alla contrattazione aziendale) piuttosto che di prodotto.
Politiche coerenti per rimpolpare le buste paga comportano rimangiarsi la contro-riforma delle pensioni e dare enfasi alla contrattazione decentrata (meglio se aziendale). Chi le è viste, batta un colpo.
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