sabato 5 gennaio 2008

LA RICCHEZZA PRIGIONIERA NELLA RETE DEI CONTRATTI

Lunedì 7 gennaio scade l’ultimatum: o il Governo offre proposte concrete sulla “questione salariale” o sarà sciopero generale. Al di là di statistiche più o meno credibili, un autorevole esponente della maggioranza, ed esperto della materia, come Tiziano Treu, afferma che “la questione” è “riconosciuta come vera emergenza da (quasi) tutti”. Per affrontarla, occorre esaminarne le determinanti, specialmente quelle meno conosciute. Facciamolo sulla base di analisi dell’Istituto federale di studi sul lavoro tedesco (in sigla, l’IZA), distinto e distante dalle nostre beghe.
Un’analisi econometrica effettuata dall’Università Partenope (IZA Discussion Paper n. 2620) ancora inedita in Italia documenta che l’allargamento dell’Ue sta provocando asimmetrie nel mercato del lavoro, con un aggravio degli squilibri salariali. Molti lo avevano previsto . Prodi considera l’allargamento uno dei suoi capolavori. Comunque, non si può tornare indietro.
Un altro IZA Discussion Paper (il n. 2627), curato da studiosi spagnoli ed italiani per 13 Paesi dell’Ue, conclude che l’alto livello di protezione per chi ha un impiego e l’alto grado di contrattazione collettiva nazionale hanno l’effetto di comprimere i salari per i giovani e per le donne (e di accentuare relazioni contrattuali a termine) . Il rimedio è chiaro (anche se può non piacere ad alcuni settori della maggioranza): aumentare (non ridurre) la flessibilità e rendere più produttivo il sistema contrattuale, incoraggiando la contrattazione decentrata (dove meglio si può cogliere e premiare la produttività) rispetto a quella nazionale. Il “salario minimo garantito” di cui parla Veltroni nella veste di leader del PD sarebbe un passo indietro che comprimerebbe ulteriormente verso il basso i salari di chi merita buste-paga più pesanti.
Un terzo IZA Discussion Paper (il n. 2270) dimostra, sulla base di dati per la Germania, l’Italia, l’Olanda e gli Usa, che gli americani lavorano molto di più degli europei tanto nel mercato vero e proprio quanto aggiungendo alle ore in ufficio od in fabbrica quelle dedicate alle faccende domestiche (anche ad orari insoliti e pure se sono di genere maschile). Semplice: in un mondo sempre più integrato, per guadagnare di più, occorre lavorare di più. Le politiche pubbliche (quali l’eccesso di regolamentazione) che lo impediscono mettono un freno ai salari.
Queste indicazioni suggeriscono una direzione differente da quelle di cui si parla in questi giorni (che porrebbero ulteriori oneri alla malconcia finanza pubblica): superare la pletora di contratti nazionali, semplificarne i rinnovi e valorizzare la contrattazione aziendale , specialmente quella che coniuga premi alla produttività del lavoro ed all’innovazione. I due elementi senza i quali finiremo presto, nelle classifiche del benessere, anche dietro alla Grecia.
Non piacciono probabilmente a parte della maggioranza e del sindacato ma sono strade concrete.

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