Circa tre anni fa sul “Dom” si è preso spunto da due nuove esecuzioni del “Mefistofele” di Arrigo Boito (opera ed autore messi al bando, in Italia, per lustri da una “cultura” che li considerava “fascisti”- Boito morì nel 1918 e fu esponente di spicco della “scapigliatura” milanese, movimento, nel contesto dell’epoca, di sinistra)- per fare una riflessione sul ritorno del diabolico in Paese teso verso l’innovazione ma ancorato ad aspetti meno belli del passato – “Le due anime di Faust” per parafrasare il titolo di un libro di Paolo Peluffo, in cui si raccoglievano scritti di Guido Carli. Edito da Laterza nel 1995 è arrivato troppo presto; riscosse molta meno attenzione di quanto ne avrebbe adesso.
Perché tornare ad annusare odore di zolfo ed ad anelare all’ “eterno femminino” che ci porti alla Grazia? Per una ragione personale. E per una più vasta di attualità culturale. Le esecuzioni del “Mefistofele” nel 2005 mi indussero a rileggere i 12000 versi di cui si compone il “Faust” di Wolfang Goethe nei bella collana “I Meridiani” (Mondatori, 1980) con traduzione a fronte di Franco Fortini: un risultato della rilettura è stato apprezzarne davvero la “seconda parte” (8000 versi includendo il “Prologo in Cielo”), in cui Faust, lasciato il piccolo mondo di Margherita, va nel grande mondo dell’Impero, viaggia nel passato e nel futuro e ritrova se stesso mettendosi al servizio dell’umanità e della sua modernizzazione. L’altra determinante è che a cavallo tra la seconda metà del 2007 ed l’inizio del 2008 in Italia vanno in scena tre adattamenti del”Faust” che, a differenza della consuetudine, danno rilievo proprio alla “seconda parte” del lavoro di Goethe.
I 12000 versi non furono scritti per la scena: un tentativo di rappresentazione “a puntate” (negli Anni 50) al Piccolo Eliseo di Roma costringeva gli spettatori ad andare a teatro tutte le sere per circa una settimana. Anche nei Paesi di espressione tedesca di solito si mette in scena l’”Ur-Faust”, la prima breve versione relativa al “patto con il diavolo” dell’anziano scienziato per tornare giovane, nonché alla seduzione di Margherita, al matricidio ed all’infanticidio da lei commessi ed al suo pentimento e redenzione. Le stesse numerose opere musicali tratte dal capolavoro di Goethe – a cominciare dalla più nota e più rappresentata, quella di Charles Gounoud – riguardano essenzialmente la prima parte. Quindi, è quanto meno insolito che nel giro di pochi mesi sia in tournée un nuovo adattamento teatrale a cura di Dario Del Corno e Glauco Mauri in cui in tre ore si utilizzi tanto la prima quanto la seconda parte per trasmettere il significato del lavoro. E’ anche inusuale che tanto il Regio di Parma quanto il Massimo di Palermo abbiano deciso di inaugurare la stagione 2008 con nuovi allestimenti delle due opere in musica – per l’appunto “Mefistofele” di Boito e “Szenen aus Goethes Faust” (“Scene dal Faust di Goethe”) di Robert Schumann – che meglio di altre incapsulano ambedue le parti del testo. Due terzi di “Szenen aus Goethes Faust” riguardano la seconda parte del capolavoro – l’amore tra Faust e Margherita è trattato in un duetto di poco più di 5 minuti a cui seguono due numeri musicali sul pentimento della giovane per complessivi 11 minuti, il resto della partitura, circa due ore complessivamente, è dedicato a Faust modernizzatore, alla sua morte pentito e ben 45 minuti all’accettazione in Cielo grazie all’intercessione dell’”eterno femminino”.
Al momento in cui vengono scritte queste note ho visto due dei tre spettacoli – la “prima” del “Mefistofele” a Palermo è il 23 gennaio e presenta un cast di livello (regia di Giancarlo Del Monaco; direzione musicale di Stefano Ranzani; Giuseppe Filianoti, Ferruccio Furlanetto e Dimitra Theodossiou nei ruoli principali). Nell’adattamento di Del Corno e Mauri, Faust è tempo stesso imbonitore e dotto studioso, visionario e preda eccellente per il diabolico tentatore Mefistofele. La versione preme sull’equivoco (Glauco Mauri e Roberto Sturno si alternano nei ruoli di Faust e Mefistofele). Il ritorno alla giovinezza non è per tornaconto: il destino svolta direzione grazie alla pietà divina che riconosce il desiderio di miglioramento di Faust (per la società che lo circonda) portando al fallimento del diavolo e facendo diventare il protagonista emblema del cammino dell’umanità verso la redenzione tramite operosità e responsabilità. Non coglie, però, l’afflato religioso (cruciale in Goethe).
Le “Szenen” occuparono Schumann per ben dieci anni della sua non lunga vita. Vennero eseguite integralmente (in forma di concerto in quanto non destinate alla scena) sei anni .dopo la morte dell’autore. Non utilizzano un libretto ma frammenti del testo originale di Geothe. La musicologa britannica Joan Chissell sottolinea come Schumann, pur non appartenendo ad nessuna confessione, fosse “un profondo credente nell’etica cristiana e al passare degli anni i suoi lavori sono sempre più imperniati sul tema della redenzione tramite rimorso, pentimento e sacrificio” Sergio Sablich mette l’accento sullo”sforzo di agganciare la musica a grandi temi ideologici”. Ciò uno dei caratteri distintivi delle “Szenen” rispetto al “Mefistofele” che, in sintonia con la cultura delle “scapigliato” Boito, hanno un prologo ed un epilogo in un Cielo “colossal”, come percepito da un non-credente.
L’allestimento di Hugo de Ana al Regio di Parma riesce (con laser e proiezioni elettroniche) a drammatizzare efficacemente un testo ed una musica di pura introspezione dal breve ma inteso rapporto con Margherita, al tentativo di costruire la città ideale dove milioni di uomini e donne vivano in benessere e libertà, alla contemplazione della morte, all’accettazione in Cielo. La direzione musicale di Donato Renzetti da una lettura monumentale della partitura. Il giovane Marcus Werba (nei tre ruoli di Faust, Pater Seraficus e Doctor Marianus) sovrasta il resto del cast e coglie più dello stesso regista il messaggio di etica cristiana alla base del lavoro di Schumann.
Torniamo adesso alle “due anime di Faust” da cui abbiamo preso avvio. L’etica cristiana della responsabilità per il bene comune – quasi ignorata nell’”Ur-Faust” e negli adattamenti per la scena e per il teatro in musica basati sulla prima parte del capolavoro di Goethe – è la chiave per risolvere tra innovazione-modernizzazione, da un lato, e ancoraggio al passato, dall’altro. L’innovazione-modernizzazione diventa non soddisfazione della utilità, ed anche del piacere, individuale (il piccolo mondo di Margherita e, se si vuole, il “Faust” di Gounod) ma servizio alla collettività, ove non al resto dell’umanità (seconda parte del “Faust” di Goethe). L’ancoraggio al passato non è rifiuto della modernità, ma ricerca dei valori più pregnanti e validi in qualsiasi stagione (il viaggio a ritroso di Faust pure nella Grecia antica, ripreso nel “Mefistofele” di Boito). Una chiave importante per un Paese che oggi è ad un bivio tra modernizzazione e passato più di quanto non lo fosse nel 1995 . E nello stesso 2005.
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