In punta di piedi, quasi senza volersi fare notare, tra la poca attenzione della stampa, sta entrando in vigore la legge n. 247 del 24 dicembre 2007. Non una strenna natalizia da spacchettare accanto al Presepe ma una modifica profonda agli aspetti essenziali del sistema previdenziale contributivo (in gergo internazionale Notional defined contribution, Ndc) che l’Italia stava faticosamente mettendo in atto dal 1995 (quando venne varata la cosiddetta “riforma Dini”).
In materia di pensioni, gli aspetti principale della legge (con la quale si è data normazione al Protocollo sul Welfare del 23 luglio 2007) sono i seguenti:
definizione di un nuovo sistema di età pensionabile attraverso l’abrogazione dell’ innalzamento dell’età di pensione a 60 anni dal 1° gennaio 2008 (il cosiddetto “scalone”) e la definizione di un percorso graduale (gli “scalini”);
modifiche della disciplina dei lavori usuranti: individuate le risorse (fondo decennale di 2,5 miliardi di euro) che consentiranno di andare in pensione con tre anni di anticipo ai “lavoratori usuranti” da definirsi sulla base di un decreto legislativo da presentare entro giugno;
modifica dell’impianto del sistema contributivo introdotto dalla riforma del 1995, applicando dal 2010 (e poi triennalmente) i nuovi coefficienti di trasformazione definiti nel 2005 e costituendo una commissione per verificare e proporre modifiche che tengano conto delle nuove condizioni economiche e del mercato del lavoro, al fine di tutelare le pensioni più basse e le carriere discontinue dei giovani;
definizione futura di un intervento sulle finestre di uscita per le pensioni di vecchiaia che verranno portate a 4 per i lavoratori che hanno 40 anni di contributi;
miglioramento delle pensioni di molte categorie mediante interventi sulla totalizzazione, sul riscatto della laurea e dei contributi figurativi nel caso di disoccupazione e lavori discontinui;
intervento sui fondi in squilibrio: applicazione di un contributo di solidarietà su quei fondi che provocano squilibri finanziari rilevanti (fondo volo, fondo elettrici e simili);
definizione di alcuni interventi solidaristici (blocco perequazione pensioni alte e aumento delle aliquote contributive per la gestione speciale di coloro che sono già iscritti a forme previdenziali);
mutamento della prestazione pensionistica per i giovani parasubordinati attraverso l’aumento di un punto l’anno fino a tre punti della contribuzione (in quota parte maggiore sui committenti) che dà diritto alla pensione;
riordino e razionalizzazione degli Enti previdenziali;
detassazione parziale per i lavoratori dei premi di risultato da attuarsi con 150 milioni di euro per il 2008.
Oltre a questi dispositivi normativi, il Governo si è impegnato, anche tramite “politiche attive”, a permettere il raggiungimento di un tasso di sostituzione al netto della fiscalità non inferiore al 60%. Una parte della coalizione di maggioranza avrebbe voluto che tale impegno venisse incluso in un articolo di legge.
Gli aspetti centrali della normativa mettono in questione l’essenza stessa del sistema Ndc; tale sistema postula una corrispondenza tra contributi e spettanze previdenziali. Tale corrispondenza viene fortemente incrinata dagli aspetti centrali della nuova normativa:
In primo luogo il mantenimento di meccanismi per pensioni di anzianità che consentono a tutti di usufruire della prestazioni in età significativamente più giovane di quanto è norma nel resto d’Europa.
In secondo luogo, tramite la revisione ed il probabile ampliamento (rispetto a quanto definito nel 1999) delle categorie i cui lavori vengono considerati “usuranti” , categorie che possono continuare ad andare in pensione di anzianità in età relativamente giovane.
In terzo luogo, tramite il rinvio dei “coefficienti di trasformazione” (per trasformare in vitalizi i montanti figurativi di contributi) che sarebbe dovuti entrare in vigore nel 2005 per tenere conto di andamenti demografici e economici.
In quarto luogo, tramite una vasta gamma di interventi solidaristici che, se giustificati a favore delle fasce a più basso reddito, dovrebbero essere a carico della fiscalità generale non del sistema previdenziale.
Nel 1995 non solo l’Italia ma anche la Svezia introdusse il sistema Ndc (attualmente in vigore in circa 25 Stati e potenzialmente alla base di un sistema previdenziale di base comune all’intera Ue): Mentre la Svezia ha previsto un periodo di transizione triennale (già completato nel 1998), l’Italia aveva previsto un periodo di transizione tra i 18 ed i 25 anni ed ora abolisce alcuni pilastri stessi del Ndc. L’abrogazione del Ndc all’italiana sarebbe completa ove venisse soddisfatto l’impegno di raggiungere di un tasso di sostituzione al netto della fiscalità non inferiore al 60%. Queste implicazioni sono più gravi di quelle delineate in stime, peraltro approssimative, degli oneri aggiuntivi innescati da una normativa ispirata essenzialmente da quella parte dello schieramento che mirava ad un ritorno al passato – ossia alla situazione precedente la riforma del 1995 e l’introduzione del Ndc.
Non che in questi anni non fossero emersi problemi sociali seri, segnatamente quello della graduale riduzione del potere d’acquisto dei pensionati a ragione di un meccanismo di indicizzazione agganciato non all’andamento dei salari (che tiene conto degli aumenti di produttività dell’intero Paese) ma solamente a quello dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati. Tali problemi si sarebbero potuti risolvere senza intaccare il meccanismo Ndc ma anzi rafforzandolo, come si delineerà nel paragrafo conclusivo. Un approccio ideologico, sottostante il desiderio di ritorno al passato, ha prevalso su quello che sarebbe stato buon senso.
Ad un esame asettico da pregiudizi occorre rilevate che alcuni punti della nuova normativa – ad esempio, il miglioramento delle condizioni per “totalizzare” (ossia sommare contributi a differenti regimi ed enti previdenziali) e per facilitare il riscatto di anni dedicati all’accrescimento di capitale umano quali gli studi universitari) o periodi di assenza di contributi a ragione di disoccupazione involontaria – sono ineccepibili e non pare aggravino il già pesante onere della previdenza sulla finanza pubblica e sulla produzione di beni e servizi. Sono stati utilizzati come il cavallo di Troia di una controriforma. Che, anche a ragione del mancato decollo della previdenza complementare, pagheranno tutti. Soprattutto le giovani generazioni.
Da non pagare: No
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