Teatro dell’Opera di Roma
Giacomo Puccini
TOSCA
In Italia, il Novecento del teatro in musica viene fatto convenzionalmente iniziare il 14 gennaio 1900, data della prima rappresentazione, al “Costanzi” di Roma (allora chiamato “Teatro Reale dell’Opera”), di “Tosca” di Giacomo Puccini . E’ un’opera molto più complessa di quanto non diano ad intendere le numerose versioni in chiave “popolare” che si susseguono sui palcoscenici italiani e stranieri, specialmente in arene estive all’aperto (dove è molto difficile apprezzare la raffinatezza della scrittura sia vocale sia, soprattutto, orchestrale). Queste edizioni, a torto più che a ragione, pongono l’accento sui lati più facili (le “romanze”, i “duetti”, il grandioso “Te Deum”) mentre l’importanza e le bellezze del lavoro stanno altrove.
In primo luogo, “Tosca” è un vero e proprio “dramma in musica”, serrato come un “libro giallo”, con tanto di colpo di scena finale, imparentato, dunque, con quella sin troppo dimenticata “Fedora” di Umberto Giordano, che solo pochi anni prima era andata in scena al “Lirico” di Milano. In secondo luogo, “Tosca” costituisce l’ingresso di Giacomo Puccini nel verismo; è un verismo tinto da grand-opéra, che prende le distanze dall’intimismo lirico de “La Bohème” e dalla passione erotica di “Manon Lescaut” – le due opere che avevano lanciato il compositore. In terzo luogo, “Tosca” si basa su una ricchissima invenzione musicale ed una prodigiosa orchestrazione (circa 60 temi intrecciati a momenti od impressione oppure ancora ad oggetti, secondo il procedimento wagneriano dei leit-motiv); l’invenzione musicale e l’orchestrazione plasmano parti vocali incalzanti ed interrotte. E’ questo aspetto, più degli altri, ad aprire il sentiero che porta a Debussy, a Strauss a Janaceck- quindi al più grande teatro in musica del Novecento. E’, però, pure l’aspetto meno notato, meno conosciuto e forse meno apprezzato dal pubblico pronto a spellarsi le mani per “Recondita armonia”, “Vissi d’arte” ed “E tacean le stelle”. Un esempio tra i tanti: il ruolo che nell’opera hanno le campane: quattro campane medie che propongono un “ostinato” per 32 battute per lasciare il posto ad un episodio strettamente collegato. Oppure la melodia trionfale che apre l’ultimo atto anticipando, proclamata da quattro corni, il cosiddetto inno latino.
Questi richiami possono sembrare dettagli eruditi che poco hanno a che fare con una recensione. Intendono sottolineare, invece, la difficoltà di mettere in scena un’edizione adeguata di “Tosca” per inaugurare, al tempo stesso, il Teatro dell’Opera della capitale (un teatro il cui cartellone presenta nel 2008 ben 33 titoli tra opere e balletti) e l’anno “pucciniano”, ossia l’anno in cui si celebrano i 150 anni dalla nascita di Giacomo Puccini. Un’impresa temeraria più che una sfida. Ed è un’impresa temeraria che è riuscita benissimo – tanto da fare dimenticare il recente insuccesso de “La Vedova Allegra”.
Per sottolineare la straordinarietà dell’evento, l’inaugurazione della stagione è stata posta in calendario il 14 gennaio, nonostante la data cadesse di lunedì, giornata normalmente di riposo nei teatri lirici. Gli oltre 1800 posti del “Costanzi” erano gremiti; smoking, abiti da sera; autorità dello Stato; decorazioni floreali; “champagne” (italiano) per tutti gli spettatori offerto nel foyer prima dell’inizio dello spettacolo. In breve, l’atmosfera delle grandi occasioni con aspettative tali che un infortunio sarebbe stato tanto più increscioso ed avrebbe destato tanto più clamore mediatico. Non solamente tutto è andato bene ma la rappresentazione è stata interrotta più volte da applausi scroscianti e da richieste di bis (uno dei quali concesso). Ed è stata seguita da circa un quarto d’ora di vere e proprie ovazioni. In breve una serata memorabile per il teatro lirico romano.
Il nuovo allestimento di Franco Zeffirelli ricalca quello, rodatissimo, che per oltre tre lustri, si replica, con successo, al Metropolitan: una visione colossal di una Roma, al tempo stesso, barocca, sensuale e perversa, con una ricostruzione dettagliata (e per certi aspetti “ingrandita”) dei luoghi dei tre atti (Santa Andrea della Valle, Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo). E’ fedele, minuziosamente, al libretto (con piccolissime variazioni nei dettagli: ad esempio, nel primo atto il cavalletto di Cavaradossi è alla destra nel palcoscenico invece che alla sinistra e nel terzo un gioco di ascensori scenici mostra in parallelo la prigione e la terrazza di Castel Sant’Angelo). E’ un allestimento tradizionale nel migliore degli accenti che ha questo aggettivo. Curatissima la recitazione, come è d’uopo in un “dramma in musica”. Piace al pubblico.
Naturalmente, l’attenzione degli spettatori è soprattutto rivolta alle voci. Debutta nel ruolo della protagonista Martina Serafin, soprano austriaco ancora relativamente poco nota in Italia (ha cantato a Bologna in “Lohengrin”, a Palermo in “Genoveva” ed a Catania in “Andrea Chénier”, ma molto famosa in Austria e Germania specialmente per le sue interpretazioni di Strauss e Wagner. La ricordo (oltre che nei ruoli di Elsa e Genoveva) nella parte della Marescialla in un memorabile “Cavaliere della Rosa” a Vienna. Martina Serafini è una Tosca giovane, bella e carica di eros. Ha un temperamento drammatico; quindi, la sua Tosca è meno civettuola di quel che spesso si vede. Ha registro ampio, fraseggio impeccabile e grande abilità nell’ascendere a tonalità alte ed a discenderne. Costruisce , con la recitazione e con la voce, una Tosca molto simile a quella che Zeffirelli diresse a Londra con Maria Callas (pure in quanto i costumi, specialmente quello del secondo atto, assomigliano a quelli dell’edizione al Covent Garden del lontano 1964 di cui resta un filmato in bianco e nero). Oppure alla Tosca di Marilyn Niska (con José Carreras nel ruolo di Cavaradossi) nella New York degli Anni Settanta. Le sono stati richiesti bis al primo e soprattutto al secondo atto (dopo “Vissi d’Arte”) ma non li ha concessi.
Anche il tenore argentino Marcelo Àlvarez debutta nel ruolo di Cavaradossi. E’ conosciuto soprattutto come tenore verdiano e donizettiano; sino ad ora le sue incursioni nel verismo (con l’eccezione dell’intimismo lirico di “La Bohème”) sono state piuttosto rare. E’ un tenore generoso, con un timbro chiaro, una gestione accurata del registro di mezzo e la capacità di tenere a lungo i “do”; pure a lui richieste di bis di cui una concessa (“E lucean le stelle). Tanto Martina Serafin quanto Marcelo Àlvarez non mancano di volume; riempiono con la loro voce il vasto “Costanzi”.
. Scarpia è il quasi 72enne Renato Bruson: ha interpreto il ruolo centinaia di volte e vi si cala a pennello, meritandone applausi pur se la voce si è schiarita molto ed il volume non è pari a quelli di Serafin e Àlvarez. Il suo Barone appare fin troppo umano.
Sotto il profilo musicale, l’aspetto più importante è la concertazione di Gianluigi Gelmetti e la prova data dall’orchestra nello scavare in una scrittura musicale, troppo stesso trattata con un certa approssimazione. Gelmetti dilata i tempi proprio per dare modo di percepire il preziosismo dei 60 temi intrecciati (dimensione spesso trascurata nelle letture correnti).
Questa “Tosca” verrà replicata nel 2008 sino al 27 aprile (in due blocchi di repliche) e probabilmente ripresa nel 2009.
Roma, Teatro dell’Opera, 14 gennaio 2008
Giuseppe Pennisi
· TOSCA
· Opera in tre atti - Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica tratto dal dramma di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Regia e scene
Franco Zeffirelli
Costumi
Anna Biagiotti
Floria Tosca
Martina Serafin
Mario Cavaradossi
Marcelo Álvarez
Barone Scarpia
Renato Bruson Angelotti
Alessandro Guerzoni Sacrestano
Francesco Facini
Spoletta
Claudio Barbieri
Sciarrone
Fabio Tinalli
Un carceriere
Riccardo Coltellacci
Direzione musicale
Gianluigi Gelmetti
Maestro del Coro
Andrea Giorgi
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera
Coro di voci bianche di Roma dell’Accademia di Santa Cecilia e del Teatro dell’Opera di Roma e del Teatro dell’Opera di Roma diretto da José Maria Sciutto
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento